Resta irrisolto il problema dei diritti sull’estrazione del marmo dalla Cave di Carrara

La Corte Costituzionale blocca la legge regionale sulle concessioni delle cave

Una vicenda che si trascina da tempo, con la difficoltà ad intervenire su un editto del 1751 che istituì una concessione perpetua per i “signori del marmo”. Ora dovrebbe essere il Parlamento a risolvere la questione mentre continua l’estrazione senza limiti con guadagni per pochi e miseri ritorni per il territorio. Anche per i troppi silenzi, negli anni, della politica locale.

di Davide Tondani

Con una sentenza pubblicata due settimane fa, la Consulta, ha dichiarato incostituzionale la legge regionale in materia di cave nella parte in cui applica la nuova normativa ai marmiferi di Carrara e Massa. La questione del contendere riguarda i “beni estimati”, cioè il particolare regime giuridico, risalente ad un editto emanato nel 1751 dalla duchessa Maria Teresa Cybo Malaspina, che si applica a circa 52 degli 80 siti da cui si estrae il marmo di Carrara. Con tale provvedimento, la sovrana estense istituì una “concessione perpetua” di escavazione a coloro che avessero la cava registrata da almeno 20 anni nel catasto dell’epoca, espropriando di fatto le “vicinanze”, cioè le comunità locali, dalla coltivazione collettiva della cava così come fino ad allora si era svolta. Potenza dei “signori del marmo”, solo nel 1927 si tentò di mettere fine ad un regime giuridico dal sapore feudale: con la legge mineraria, lo Stato riconobbe ai comuni di Carrara e di Massa la piena proprietà sugli agri marmiferi, “beni disponibili della collettività”, la fine delle concessioni perpetue e l’autonomia per i comuni di fissare, entro un anno, un regolamento per lo sfruttamento dei bacini. Le pressioni esercitate dall’industria del marmo dovettero essere state enormi, se il regolamento, previsto per il 1928, a Massa non fu mai emanato e a Carrara arrivò solo nel 1994, senza però trattare i beni estimati, i cui titolari potevano continuare a godere di due vantaggi: la perpetuità della concessione e l’esenzione dal pagamento al Comune dell’8% del valore della produzione. Un bonus, quest’ultimo, stimato in 3,5-4 milioni di euro all’anno di mancato gettito per le casse comunali a tutto vantaggio delle 52 cave di cui sopra. La parola fine sulla vicenda sembrò arrivare una prima volta nel 1995, quando la Corte Costituzionale sancì l’incompatibilità dell’editto estense con la legislazione repubblicana, affermò che l’editto del 1751 era sostituito dai regolamenti comunali previsti dalla Legge Mineraria e dichiarò le cave parte del patrimonio indisponibile dei comuni. Ma mentre le nuove tecnologie estrattive allargavano i beni estimati fino a oltre due km quadrati di cave, tra rinvii, commissioni e consulenze giuridiche, le amministrazioni di centrosinistra succedutesi non hanno fatto nulla per rendere finalmente le concessioni onerose e temporanee. Il perché è intuibile. A mettere la parola fine sui beni estimati ci ha provato anche la Regione Toscana, che con la legge 35 del 2015 ha previsto per tutti gli agri marmiferi – quindi anche per i beni estimati – concessioni rilasciate previa gara, per un periodo massimo di 25 anni senza proroghe o rinnovi taciti. La legge regionale però è stata impugnata dal Governo e la Suprema Corte ha dato ragione a quest’ultimo: la Regione non può legiferare sui beni estimati. Motivo? Per la Consulta “il Comune di Carrara non ha mai incluso i beni estimati tra quelli appartenenti al proprio patrimonio indisponibile” e “quando, nel 1994, ha adottato il suo primo regolamento che, ai sensi della legge mineraria del 1927, poneva fine alla vigente legislazione estense, quei beni non sono stati trattati”. Tradotto: visto che Carrara non ha mai dichiarato, come avrebbe potuto, la fine dei beni estimati, questi esistono ancora e, non essendo pubblici, non sono di competenza regionale. La Corte Costituzionale ha inoltre evidenziato che la natura dei beni estimati è controversa: la concessione perpetua li ha resi beni privati oppure no? A deciderlo, secondo la Corte, è il diritto civile. Cioè non più il Comune, che poteva trattare la materia sulla base della legge mineraria, ma lo Stato. Per avere una decisione definitiva, dunque, sarà necessario sensibilizzare Parlamento e Governo sul tema, come ha auspicato il sindaco di Carrara, Angelo Zubbani, (nella foto) in una intervista. Nel frattempo, l’estrazione senza limiti prosegue, con guadagni per pochi e nessun beneficio per le casse comunali. Come ha evidenziato la Corte Costituzionale “una sequenza di plurisecolari inefficienze dell’amministrazione, che hanno impedito le verifiche e gli accertamenti necessari a porre ordine alla materia” regala ai carraresi una gestione della loro principale ricchezza legata ad una visione dell’economia e della società ferma al 1751.

 

Sindaco Carrara Zubbani
Il sindaco di Carrara Angelo Zubbani

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