
Domenica 23 luglio, XVI del tempo ordinario
(Sap 12,13.16-19; Rm 8,26-27; Mt 13,24-43)
Gesù racconta di un campo, il proprietario del quale ha un nemico. Questi si intrufola di notte e semina zizzania in mezzo al grano. La zizzania è il lolium temulentum, una graminacea che produce grani nerastri, tossici. Non è inutile come sembra: veniva bruciata e, in una regione come la Palestina, povera di boschi, serviva. Certo però non può essere messa insieme al grano. I servi del padrone del campo si accorgono delle piante anomale e lo interrogano su cosa fare.
La domanda è “Cosa dobbiamo fare con i peccatori?”
I servi vogliono sradicare subito la zizzania, liberare il campo dalle piante maligne e chiudere la questione. Anche noi vorremmo un mondo libero dal male, libero dai malvagi. Ma il padrone, cioè Dio, fa una considerazione molto saggia: “No, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano”. Tutte le più grandi disgrazie della storia sono accadute quando a qualche leader ‘illuminato’ è venuto in mente di ‘purificare’ il pianeta dalle persone sbagliate, dai criminali e dai malvagi, convinto, nella propria arroganza, di saper distinguere questi dai giusti e dai buoni. Dio è di un’altra idea: “Lasciate che l’una e l’altro (la zizzania e il grano) crescano insieme fino alla mietitura e, al momento della mietitura, dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio”. La responsabilità di dividere i buoni dai malvagi spetta a lui, non a noi, e lo farà solo al momento opportuno. Tutto avviene con pazienza. I tempi non si possono affrettare. Non si può tirare un fiore per allungarlo.
Gesù racconta poi una seconda parabola, su un granello di senape: gli ebrei immaginavano il loro regno come un grande cedro, l’emblema della grandezza, della nobiltà, della forza. Invece il Maestro ci presenta il Suo Regno come un granello di senape, piccolo, ordinario, silenzioso, che non attira l’attenzione. Il regno di Dio non attirerà l’attenzione con eventi grandiosi, miracoli, prodigi o chissà quale “cosa fantastica” ma sarà qualcosa di umile e vicino.
Con una terza parabola poi parla di lievito, che cambia la consistenza della materia. Il lievito della Parola fa cambiare la nostra vita. Ma c’è anche un falso lievito (quello dei farisei e dei sadducei) intossicato dalla boria, dalla autosufficienza, dal presunto possesso della verità, dal rifiuto di crescere, di cambiare, di convertirci, che porta alla morte e ci fa diventare come la zizzania. Gesù racconta, del lievito, che viene mescolato “in tre misure di farina”. È un’espressione curiosa e su cui spesso non ci si sofferma anche se dovremmo: una misura di farina sono circa 13 kg, quindi questa donna ne impasta circa 40 kg. Vuole fare pane per un reggimento. È l’impossibile che si realizza. Quando siamo deboli siamo forti.
Queste tre parabole ci dicono di accettare non solo che all’interno della nostra comunità ci siano grano e zizzania, ma che la stessa comunità è santa e peccatrice. Dobbiamo accettare che il grano e la zizzania crescano assieme, anche nelle nostre famiglie, che non sono mai perfette come le abbiamo sognate, per apprezzare la bellezza della varietà e per imparare ad essere il piccolo seme che fa crescere un grande albero, il pugno di lievito che fermenta, dal di dentro, la pasta. E soprattutto ci dice di rifiutare sempre la tentazione di essere maestri, ma sempre e soltanto discepoli. Di tutti.
Pierantonio e Davide Furfori