Io sono il pane della vita

Domenica 4 agosto – XVIII del Tempo Ordinario
(Es 16,2-4.12-15; Ef 4,17-24; Gv 6,24-35)

Approfittiamo delle ferie estive non solo per riposare il corpo, ma anche per rinfrancare lo spirito ed elevarci alle cose del cielo, come ci invita a fare Gesù. Nella sua sapiente pedagogia egli dopo aver provveduto al nutrimento materiale per la folla, cerca di portarla a considerazioni di tono più elevato, ai valori spirituali. In questo discorso troviamo la prima delle sette definizioni che Gesù dà di se stesso e che leggiamo nel vangelo secondo Giovanni: Io sono il pane della vita.
1. Mi cercate perché avete mangiato. L’avvio del discorso sembra quasi un rimprovero: “Voi mi cercate perché vi siete saziati. Datevi da fare per il cibo che rimane per la vita eterna”. Il rimprovero fatto da Gesù ha un risvolto di attualità anche per il nostro tempo, perché troppo spesso molti cristiani sono orientati verso le cose della terra e sembrano non curarsi del cibo che rimane per la vita eterna.
Questa propensione si nota anche nelle attività ecclesiali, che sono meno protese alle cose dello spirito e maggiormente preoccupate delle mense per i bisognosi o delle attività sociali di vario genere.
Certamente è più facile, e soprattutto è più gratificante, preparare un pranzo per cento persone bisognose che non fare un atto di fede o riconoscere i propri peccati.
2. Le opere di Dio. Con animo ben disposto la folla chiede a Gesù: “Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?”; Gesù risponde: “Credete in colui che egli ha mandato”.
A Gerusalemme nel giorno di pentecoste i Giudei dicono a San Pietro: “Che cosa dobbiamo fare?”, e Pietro risponde: “Convertitevi, e riceverete il dono dello Spirito Santo” (At 2,37-38). E quando Gesù ha compassione delle moltitudini perché erano come pecore senza pastore, dice: “Pregate il signore della messe” (Mt 9,38).
Noi avremmo pensato che bisogna fare di più, preoccuparci di più, moltiplicare incontri e progetti pastorali, celebrazioni, catechesi, aiuto ai poveri, assistenza agli ammalati. Gesù ci suggerisce indicazioni che non sembrano andare in questa direzione, ma ci dice piuttosto: Credete, convertitevi, pregate.
3. L’opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato. Quello che il Signore ci chiede è la nostra professione di fede, la nostra conversione, attraverso la quale la grazia di Dio si fa strada per raggiungere i lontani.
Dice Gesù nel Discorso della montagna: “Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,16). Non spetta a noi convertire gli altri, a questo ci pensa il Signore.
Ogni riforma e tutta l’attività pastorale deve iniziare con la conversione personale, altrimenti anche le nostre buone attività sono autocompiacimento.
Nella misura in cui noi purificheremo il nostro interno, rispenderà ai lontani la luce di Dio. Troppi si preoccupano della salvezza degli altri, pochi pensano alla propria conversione.

† Alberto