
Dal vertice dei paesi occidentali ospitato dall’Italia in Puglia e dalla conferenza in Svizzera sulla Ucraina la percezione di un mondo sempre più multipolare in cui l’Occidente è un attore tra i tanti

Il G7 italiano conclusosi sabato scorso sarà ricordato come quello del definitivo tramonto del quasi cinquantennale “vertice dei Grandi”?
La foto ufficiale del vertice è esemplificativa di questa atmosfera: il presidente francese e il cancelliere tedesco recentemente sconfitti alle urne; il primo ministro inglese a due settimane dalle elezioni che segneranno la fine del suo governo; il presidente statunitense la cui rielezione a novembre appare sempre meno probabile; e poi il capo di governo giapponese che potrebbe essere sostituito a fine estate e quello canadese di fronte alle elezioni del prossimo anno, in cui il suo partito è sconfitto in tutti i sondaggi.

Macron, Scholz, Sunak, Biden, Kishida, Trudeau: non si era mai visto un G7 con così tanti leader indeboliti. La sola Giorgia Meloni, nonostante: il milione e duecentomila voti lasciati sul campo alle europee dal suo governo è saldamente alla leadership del suo governo ed ha assunto il ruolo riconosciuto della persona che può fare da ponte tra PPE e la nuova destra che avanza e vuole contare di più in Europa.
L’accresciuto prestigio internazionale di Meloni può non piacere, non tiene in conto dell’assenza di una vera e propria classe dirigente alle sue spalle e viene celebrato nonostante il recente reportage sul neofascismo dei gruppi giovanili del suo partito, che fa intravedere cose ben diverse dalla “destra presentabile” e conservatrice che la presidente del consiglio vuole incarnare.
Tuttavia il ruolo che Meloni sta interpretando sul piano internazionale è evidente a tutti gli osservatori, almeno a quelli meno interessati alle difficoltà e alle contraddizioni che il governo italiano sta affrontando sul piano interno.
Ma al di là della parabola politica dei capi di Stato e di governo, il G7 ha mostrato ancora una volta la sua strutturale inadeguatezza a guidare i processi e le sfide che il Pianeta deve affrontare. La tre giorni pugliesi ha dato l’idea di un Vertice alle prese soprattutto con i problemi che riguardano l’alleanza dei paesi occidentali, piuttosto che dedito ad affrontare i grandi problemi dell’umanità.

In Puglia si è parlato di Africa, soprattutto in chiave di investimenti europei e controllo delle migrazioni; del potenziale dell’intelligenza artificiale, ma con le ricadute etiche sui diritti umani che sarebbero rimaste sullo sfondo senza l’intervento del Papa; di generici impegni al rispetto degli accordi di Parigi sul clima mentre la prossima Commissione Ue potrebbe rivedere al ribasso l’ambizioso green deal del 2019.
In sintesi, davvero poco. Più evidente è apparsa la determinazione dei Sette nell’affrontare le questioni interne al proprio club. A partire da quelle economiche.
L’annuncio, pochi giorni prima dell’incontro dei Sette, di nuovi dazi europei sulle auto cinesi, replicando la medesima decisione presa dagli Usa, rappresenta il tentativo di mantenere in piedi un’economia reale occidentale che non riesce a reggere l’avanzata della Cina facendo leva, oltre che sul protezionismo, su una finanziarizzazione spinta e senza regole del sistema economico, di fatto rendendo il sistema capitalista una fragile economia di carta.
Anche la questione ucraina è stata affrontata con lo stesso approccio di autotutela: il G7, svoltosi alla presenza di Zelensky, non si impegna per la pace ma promette di sostenere Kiev “per tutto il tempo necessario” mentre Mosca deve “porre fine alla sua guerra illegale di aggressione”.

Ma proprio la guerra russo-ucraina ha mostrato nella maniera più evidente i limiti del vertice a cui fino al 2013 partecipava pure Putin, allora ben accolto in quel che si chiamava G8.
Infatti, a vertice concluso, tutti i leader sono volati in Svizzera, a Bürgenstock, per una conferenza di pace curiosamente svolta senza invitare una delle parti belligeranti, quella russa. Al summit hanno partecipato oltre 80 paesi e molte organizzazioni internazionali, ma non la Cina che ha snobbato l’incontro.

Scopo dichiarato dell’azione diplomatica: discutere il piano di pace in 10 punti che il governo ucraino aveva presentato a fine 2022, e che costituisce la base da cui Ucraina e Occidente vorrebbero partire per un eventuale negoziato.
Ed è qui che si è visto il volto di un mondo multipolare e sempre meno a guida americana: la dichiarazione finale del vertice non è stata sottoscritta da importanti paesi come India, Sudafrica, Arabia Saudita, Thailandia, Indonesia, Messico, Emirati Arabi Uniti e Brasile, cioè da alcuni stati che insieme ad altri fanno parte dei BRICS o che, pur prendendo le distanze dall’invasione di Putin, perseguono interessi propri e un’idea di pace diversa da quella occidentale.
L’idea che il G7 non possa rappresentare la totalità del mondo e delle sue urgenze sono direttamente gli Stati a farlo capire. Non è la stessa cosa di quando, a inizio secolo, a dirlo era l’opinione pubblica con manifestazioni immediatamente represse, ma il concetto è evidente: il G7 non basta più.
(Davide Tondani)