
Dai dati ministeriali e dell’associazione Antigone emerge un quadro desolante della vita nei penitenziari italiani

Continua ad essere durissima, la condizione carceraria in Italia. A dispetto del dettato costituzionale sulle pene che, secondo l’articolo 27, “non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Verrebbe da chiedersi, come stanno facendo un numero di giuristi e intellettuali tuttavia ancora troppo limitato, se in queste condizioni il carcere come istituzione sia fallito.
A farlo pensare sono i problemi di sempre, ancora irrisolti. A partire dall’affollamento carcerario. Al 31 marzo 2024 le persone detenute erano 61.049, a fronte di una capienza ufficiale di 51.178 posti, con 13.500 detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare. Complessivamente sono 40 gli istituti che hanno un tasso di affollamento superiore al 150%, sparsi in Italia, e insieme accolgono 14.312 persone.
Secondo la maggioranza di governo la questione è risolvibile aumentando i numeri degli istituti penitenziari. Per Antigone, la più importante associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale, la soluzione governativa non può essere efficace perché i tempi medi di costruzione di un carcere sono di 8-10 anni: troppi per risolvere in tempi brevi il tema del sovraffollamento.
Ma quella delle nuove carceri non è nemmeno una soluzione economicamente efficiente: per dare fine al sovraffollamento, secondo Antigone, “ci vorrebbero 40 carceri nuove, per un costo di 1,2 miliardi di euro. Senza contare la necessità di assumere almeno 300 poliziotti a carcere, quindi altre 12 mila unità di polizia giudiziaria, oltre a tutte le altre figure professionali. Il che significa altri 4 miliardi l’anno”.
Si è anche ventilata l’ipotesi di utilizzare vecchie caserme dismesse, ma senza alcun esito. Nel frattempo la popolazione carceraria continua a salire.
Sempre per Antigone, “se il tasso dovesse venire confermato anche nel 2024, ci potrebbero essere più di 65 mila presenze entro la fine dell’anno”. La causa della crescita della popolazione carceraria risiede, secondo l’associazione di tutela dei detenuti, nella “minore predisposizione dei magistrati di sorveglianza a concedere misure alternative alla detenzione o liberazione anticipata e pratiche di Polizia che portano a un aumento degli ingressi”.
Ci sono poi i nuovi reati introdotti dal governo Meloni, dal “decreto Rave” al “decreto Caivano”, senza contare i disegni di legge sulla sicurezza e altre proposte mirate a punire con il carcere anziché tentare di limitare i reati con azioni educative e politiche di inclusione.
Suicidi e atti di autolesionismo sono il termometro di un quadro allarmante. Al 15 aprile erano già 30 i suicidi avvenuti nel 2024 e 42 le morti in carcere per cause diverse dal suicidio: in tutto il 2023 i suicidi sono stati 70 e le altre morti 88.
Gli atti di autolesionismo sono 18,1 ogni 100 detenuti, i tentati suicidi 2,4, le aggressioni al personale 3,5 e le aggressioni verso altri detenuti 5,5. Un autentico bollettino di guerra rispetto al quale la crescita del sovraffollamento è una delle cause, assieme alla presenza di un 12% di detenuti – dato in crescita rispetto al passato – con una diagnosi psichiatrica grave.
In un panorama preoccupante spiccano poi le condizioni delle persone più vulnerabili, partendo dai 20 bambini che vivono in carcere con la mamma che sconta la pena, per arrivare ai 17 istituti penali per minorenni, che recentemente hanno fatto capolino nei notiziari per gli arresti di metà del personale penitenziario del carcere minorile Beccaria di Milano, indagati per torture e altri reati connessi.
Ancora pochi giorni fa nell’istituto milanese i ragazzi hanno messo in atto una protesta pacifica – si è impropriamente parlato di rivolta, nonostante nessuno, sia tra i ragazzi che tra gli agenti, sia risultato ferito – per le condizioni carcerarie e la mancanza di fiducia in un’istituzione, quella del carcere minorile, che alla fine del febbraio 2024 ospitava 532 giovani in 17 istituti; una cifra che sta rapidamente crescendo: a fine 2023 erano 496 e a fine 2022 erano 381. L’aumento, in un anno, è stato superiore al 30%. Per un sistema che mira alla rieducatività della pena, il lavoro e l’istruzione sono tra i principali strumenti di reinserimento sociale.
Secondo i dati del Ministero della Giustizia circa un terzo dei detenuti lavora. Di questi l’85,1% risultano alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria e il 14,9% alle dipendenze di datori di lavoro esterni, concentrati soprattutto al Centro-Nord. Sono invece oltre 19 mila le persone iscritte ad un percorso scolastico in carcere, quasi la metà sono stranieri, coinvolti in corsi di alfabetizzazione e apprendimento della lingua italiana.
Assieme alle nuove assunzioni del 2023, che hanno riportato il numero di educatori ad una soglia prossima alla pianta organica prevista, lavoro e scuola sono tra i pochi segni confortanti di un panorama desolante, di cui pare importare poco sia al governo, concentrato nell’istituzione di nuovi reati, sia di una società che vede il mondo carcerario come il luogo dove rinchiudere qualsiasi cosa faccia paura. Eppure lo sviluppo integrale della persona umana passa anche per questa istituzione.
(Davide Tondani)