
Dal 20 al 24 novembre mons. Vaccari ha partecipato al viaggio in Turchia con la delegazione toscana di Caritas nelle zone colpite dal terremoto. Ecco la sua testimonianza
L’aereo da Istanbul è appena atterrato sulla pista di Bologna. I passeggeri si dispongono per l’uscita. Molti sono turchi, africani di varie etnie, donne vestite all’occidentale e donne con il velo islamico, papà con in braccio i bambini e uomini di affari… gli annunci in Italiano ci avvertono che siamo tornati in Italia e il nostro breve viaggio nella grande Turchia è terminato.
Siamo partiti cinque giorni fa (il 20 novembre ndr), una piccola delegazione delle Caritas della Toscana: quattro laici impegnati nelle Caritas locali e un Vescovo – che vi scrive – perconoscere più a fondo la Caritas Turchia, la sua organizzazione, i progetti e dare corpo ad un gemellaggio a cui teniamo molto.
Già, appena sbarcati, nel mio cuore scopro il desiderio di fare memoria per non dimenticare i tanti volti incontrati questi giorni: profughi afghani e siriani terremotati, operatori della Caritas Turchia, e tante tante persone nelle strade incontrate a Iskinderun, nei campi profughi tra le tende e container, ad Antiochia dove resiste ancora una piccola comunità cristiana, nella grande Istanbul, metropoli tra occidente e oriente con tanti abitanti di popoli, nazioni, lingue diverse…
Cerco dentro di me un filo rosso che mi aiuti e tenere insieme gli incontri vissuti che hanno ancora il sapore della bellezza delle persone incrociate insieme a tanta sofferenza che si leggeva soprattutto nei volti dei molti bimbi incontrati…
Il Vangelo di oggi (26 novembre ndr), solennità di Cristo Re dell’Universo, il Signore della storia… mi offre il perno che raccorda e ricapitola le esperienze fatte… come in un quaderno ad anelli che tiene insieme le tante pagine di vita vissuta: “Dio onnipotente ed eterno, che hai voluto ricapitolare tutte le cose in Cristo tuo Figlio, Re dell’universo…”.
Un senso di pace unito a sofferenza mi pervade; la percezione che qualcosa ha cambiato il mio sguardo. Forse l’incontro con il Signore ha potuto fare questo?… “Quando ti abbiamo visto Signore?” E lui ci risponde: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,31 ss.).
Ecco Signore tu eri là in quei nostri fratelli poveri, senza più casa distrutta dal terremoto, senza sicurezze per via dello status di rifugiato, nei tantissimi bambini dei campi; nel loro sorriso accogliente abbiamo letto la speranza.

Eri negli operatori di Caritas che mettono la loro vita personale e delle loro famiglie a rischio per costruire progetti e infondere con i fatti la speranza di un futuro migliore… eri là in quelle classi di bimbi delle più varie etnie e lingue i cui maestri cercano di insegnare almeno qualche parola di inglese per poter comunicare tra loro… e soprattutto li aiutano tirare fuori il male che hanno subito attraverso l’arte e il disegno, lingua universale… eri là in quei volontari laici in missione che donano anni della loro vita per condividere la situazione di precarietà dei più poveri e per cercare di migliorare la loro situazione stando loro accanto con il loro affetto e l’accoglienza fraterna.
Ancora ti abbiamo percepito in quelle suore di varie congregazioni che vivono il loro celibato mettendo le loro vite a servizio delle varie Caritas e che imparano un lavoro, un modo di essere missionarie che non si aspettavano…
Non abbiamo ancora preso sul serio il fatto che ogni azione nella vita messianica di Gesù è un gesto profetico, cioè un segno che un’alternativa è possibile, ma che non sfocia in un cambiamento generalizzato dei sistemi che governano il mondo.
Gesù, venuto al mondo con la sua predicazione, morte e resurrezione, non ne ha scardinato le logiche che lo governano, con una rivoluzione manifesta, ma ha scelto la strada del granello di senape. Possiamo, allora, fare un gesto profetico, mostrare che si può cambiare, come un granello di senape che poi il Signore fa diventare un albero grande. È la logica pasquale: questo mondo finirà.
Il Signore cambierà il modo con cui è organizzato attraverso l’impegno di chi inizia guardando l’altro negli occhi e rispondendo in modo totalmente gratuito ai suoi bisogni: Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?
Questi piccoli gesti acquistano il valore dell’eternità e decidono i destini ultimi della nostra vita. Uscire da sé, dalla logica autoreferenziale che ci appartiene (volenti o nolenti), aprire gli orizzonti per vedere più lontano dei nostri problemi che ci accompagnano nelle nostre piccole vite.
Allargare lo spazio delle tende dei nostri vissuti ecclesiali; certo importanti ma poi così ristretti: la trasmissione del vangelo alle nuove generazioni, la ristrutturazione delle comunità cristiane a stampo parrocchiale per garantire la celebrazione a tutti, la formazione dei laici, ecc…
Ci sono popoli interi che vivono in situazione di estrema povertà, il loro grido insieme a quello delle creature e del creato ci avvolge e ci mette in una situazione insieme di precarietà e responsabilità…
Se la società di oggi lascia “solo le briciole ai poveri”, il compito della Chiesa, ancor prima di condividere il pane con i poveri, è quello di mostrare alla società, con la forza della profezia, la bellezza di un mondo dove gli ultimi vengono accolti, e non messi ai margini per le logiche mondane e di Mammona, il dio denaro.
E ancora Cristo, Signore e Re dell’Universo che regna da una croce ci insegna che non basta aiutare i poveri, bisogna imparare a vivere con uno stile di vita povero e a stare sempre in contatto con i poveri, i rifugiati, gli emarginati. Sono loro che ci insegnano a vedere le cose dal loro punto di vista.
È necessario stare accanto a Gesù che lotta per un mondo nuovo: “è infatti necessario che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi” (1Cor 15, 25). Risuona in me con forza un passo di Evangelii Gaudium.
“Per questo desidero una Chiesa povera per i poveri. Essi hanno molto da insegnarci. Oltre a partecipare del sensus fidei, con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente. È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro. La nuova evangelizzazione è un invito a riconoscere la forza salvifica delle loro esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa. Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro…. Solo a partire da questa vicinanza reale e cordiale possiamo accompagnarli adeguatamente nel loro cammino di liberazione” (EG198-199)
† Fra Mario Vaccari