Non è più rinviabile la scelta  di un nuovo stile di Chiesa

Pontremoli. Intervista a don Andrea Forni sul tema delle piccole parrocchie senza un parroco proprio

Dopo aver scritto delle “parrocchie senza parroco” (le piccole parrocchie, spesso di montagna, con un esiguo numero di fedeli) in linea generale, abbiamo voluto affrontare il problema da un punto di vista più concreto, facendoci aiutare da don Andrea Forni che, ormai da qualche anno, ha in cura pastorale tutte le parrocchie delle frazioni “alte” del comune di Pontremoli, quelle che, tanto per intenderci, vanno da Arzelato fino a Ceretoli.
Il punto di partenza resta quello indicato dalla 72.ma Settimana nazionale di aggiornamento pastorale di Lucca: “Esisterà ancora nei piccoli paesi la comunità cristiana che segue e annuncia Cristo?”. Una domanda alla quale è difficile dare risposte facili e men che meno definitive: di certo, non è mai stato avviato un percorso per giungere ai cambiamenti necessari.

Don Andrea, quanto incide la dipendenza dal parroco sulle difficoltà registrate dalle piccole parrocchie. È il motivo principale?
Nei paesi il parroco è il riferimento: questo dipende da una storia in cui ogni paese aveva il suo prete. Un cambiamento culturale potrà avvenire nel tempo ma, se non si fa presto, tra qualche anno il problema non si porrà più perché non ci saranno più le comunità. Il problema, quindi, esiste perché vedo che quando c’è la messa c’è anche una maggiore presenza; dove c’è un laico o un diacono la presenza è minore.

Forse, però, è un processo che si sarebbe dovuto avviare già da tempo: non sono mancate le riflessioni e le proposte (vedi le conclusioni del Sinodo diocesano 2003-2006) ma è stato fatto qualcosa di concreto in proposito?
Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ‘90 si era iniziato a formare ministri straordinari dell’Eucaristia e, in qualche zona, a programmare celebrazioni domenicali in assenza di presbitero. Un’azione di avanguardia che non ha avuto seguito: l’introduzione dei diaconi, poi, ha portato ad una un’ulteriore confusione tra la gente sui ruoli dei diversi ministeri. Il Sinodo non è mai stato applicato nelle sue varie parti.

Il campanile di Gravagna San Rocco

Anche la società civile deve fare la sua parte per contrastare lo spopolamento…
Se non aiuti i paesi a vivere attraverso facilitazioni fiscali o tariffarie, se togli anche i servizi minimi, non avrai mai una inversione di tendenza. Un’opzione potrebbe essere quella del lavoro da casa, ma devi fornire gli strumenti che favoriscano una scelta che oggi appare impraticabile.

Sono più i preti che temono di perdere il potere o più i laici che non vogliono assumersi responsabilità?
Dal punto di vista della gestione delle parrocchie e della cura delle chiese i laici sono molto attenti e molto presenti. Manca una loro formazione che li porti ad assumere anche incarichi pastorali: non si è mai iniziato. Ma anche noi preti facciamo molta fatica a “mollare l’osso” e quindi abbiamo una buona parte di responsabilità perché non si sa cosa fare. Due sono le difficoltà: una del sacerdote, che stenta a definire il suo ruolo; la seconda è quella di non poter dire a qualcuno: fai tu.

Oltre alle funzioni tradizionali non c’è molto altro…
Abbiamo tentato di creare dei gruppi di ascolto e qualche risposta c’è stata ma su numeri molti esigui, come è facile capire. Si coglie l’occasione per approfondire certi momenti, per esempio la recita del rosario, ma, di fatto, ci sono la Messa domenicale, le feste più significative, i funerali, molto frequentati.

Due alternative: concentrazione delle celebrazioni o figure ministeriali (non preti) che celebrano nelle varie parrocchie.
La mia esperienza dice che la prima non funziona o funziona molto poco perché la gente fa fatica a uscire dal proprio campanile. Si è provato, in inverno, a concentrare le messe in alcune zone ma lo spostamento non c’è stato. In quelle chiese si celebrerebbe la Messa, mentre nei paesi più piccoli diaconi o ministri straordinari offrirebbero momenti aggregativi per celebrare il giorno del Signore. Nel tempo questo potrebbe favorire il passaggio al primo modello.

Veduta di Succisa
Veduta di Succisa

Bisogna però fare in fretta: manca il coraggio di cercare nuove strade, manca la determinazione, manca la forza?
Mancano le idee, non c’è un progetto. Tutto si concentra sul centro e la periferia… C’è l’evangelizzazione da rivitalizzare ma c’è anche il mantenimento delle strutture (chiese, canoniche) destinate ad essere abbandonate e quindi a rischio di andare in rovina. Ho l’impressione che al problema non sia riconosciuta l’importanza che merita. Dobbiamo prendere delle decisioni, invece si continua a mandare preti allo sbaraglio e poi loro devono trovare il modo di organizzarsi!

Mons. Sigalini ha parlato di “iniziare un cammino di ripensamento della forma che la Chiesa ha assunto nel corso della storia… Il ministero della conduzione pastorale va ripensato in chiave sinodale superando l’asse individuale parroco-parrocchia… I seminari sono chiamati a formare e sostenere i futuri preti, anche in parrocchie senza prete residente.
Ha ragione: bisogna ripensare; sulla forma si può ragionare ma il cambiamento va fatto e non bisogna dormirci sopra. I seminari sono un altro problema: si dovrebbe affrontare anche il tema delle vocazioni, visto che dalla diocesi non ne emergono.

La cura di un così alto numero di parrocchie affidata ad un solo sacerdote crea difficoltà a livello personale?
L’idea di girare a vuoto, senza avere il tempo per i contatti umani. Dato che credo molto nel rapporto con le persone, quello che più mi pesa è appunto la mancanza di tempo per poterlo fare. Diventi un prestatore di servizi ma viene a mancare l’incontro con le persone. Questo mi fa sentire in difficoltà: sono una presenza ma in che modo? Mi rendo conto che non conosco realmente le persone, i problemi dei paesi e se un pastore non conosce le sue pecore…

Antonio Ricci