
UNITI POSSIAMO. Intervista a don Emanuele Borserini: Oltre alla guida delle nove parrocchie del territorio di Fosdinovo, di recente è stato nominato direttore dell’Ufficio diocesano per i Beni Culturali e l’Edilizia
Don Emanuele Borserini è nato nel 1986 ed è stato ordinato sacerdote nella cattedrale di Massa il 28 giugno 2015 dal vescovo mons. Givovanni Santucci. Dopo l’esperienza come viceparroco nella Lunigiana orientale e formatore dell’anno propedeutico del Seminario diocesano, nel 2021 è stato inviato dall’Amministratore apostolico a guidare l’Unità Pastorale di Fosdinovo, ovvero le nove parrocchie del comune omonimo dislocate su più versanti del monte.
Laureatosi a pieni voti in Scienze dei Beni Culturali il 13 febbraio 2020 all’Università di Pisa con una tesi su “L’altare dei Corpi santi di Virgoletta. Un esempio di barocco di periferia”, pochi mesi dopo, il 10 giugno e nuovamente a Pisa, ha conseguito la laurea magistrale in “Storia e forme delle arti visive, dello spettacolo e dei nuovi media. Classe di storia dell’arte”, discutendo una tesi dal titolo “Tra lex e ars: l’oggetto d’arte nell’ars celebrandi”.
Nel settembre scorso, infine, è stato nominato dal vescovo, mons. Mario Vaccari, direttore dell’Ufficio diocesano per i Beni Culturali Ecclesiastici e l’Edilizia di Culto, dell’Archivio storico diocesano e del Museo diocesano. Nell’incarico è succeduto a don Luca Franceschini, chiamato a svolgere questo delicato incarico a livello nazionale.

Per don Emanuele continua l’impegno nelle parrocchie. Come si articola il ministero di parroco in un territorio così vasto come quello dell’unità pastorale di Fosdinovo?
Articolarsi è un’immagine appropriata perché quello di parroco è un ministero che ovunque, non solo in territori così ampi, deve funzionare come le articolazioni del corpo, inserendosi tra le altre realtà sociali e i ministeri ecclesiali, con la sua specificità e con la consapevolezza di non essere una monade onnipresente e onnipotente, come forse alcuni che hanno vissuto altre epoche storiche lo immaginano. Qui tutto ciò diventa solo più evidente e più urgente. È grazie al silenzioso impegno di molti fedeli laici che si può arrivare dove sarebbe impossibile da soli, soprattutto nello spazio relazionale. E dove non si arriva… ci pensa la Provvidenza.
I sacerdoti non fanno un mestiere; rispondono ad una chiamata.
E le comunità sono chiamate ad accoglierli come un dono e a prendersi cura di loro.
Tutte: quelle più ricche e quelle in contesti più difficili
Quali sfide si dovranno affrontare in futuro per la conservazione dei beni culturali decisamente numerosi in diocesi?
La conservazione dei beni culturali è uno dei temi caldi di qualsiasi amministrazione in Italia, non solo quella ecclesiastica, perché la nostra straordinaria storia ci consegna un patrimonio immenso e affascinante. Un patrimonio che richiede risorse sempre più ingenti e spesso impossibili da reperire tramite i canali istituzionali. La sfida è dunque quella della responsabilità, cioè la presa di coscienza da parte delle comunità e dei singoli che il patrimonio culturale non è appannaggio di enti astratti, ma è di tutti, interessa tutti ed è una risorsa per tutti. Come ci si presenta di fronte a questa sfida? Da parte del nostro ufficio, la sfida è di far conoscere un patrimonio che non consta solo di oggetti preziosi, ma principalmente di tutte quelle pratiche che li hanno creati e mantenuti nel tempo e che ancora possono conferire loro il vero significato. La cultura materiale su cui insiste il livello più evidente della conservazione è solo un aspetto del nostro patrimonio e non ha ragione di esistere se non è inserita in una cultura fatta di persone e di storie, cioè di vita.
Quindi tutti dobbiamo crescere in questa consapevolezza?
Certo, e deve essere una consapevolezza umanistica e umanizzante. Come si può intuire la conservazione si articola in molti modi, riconducibili alle due grandi direzioni della conoscenza della propria storia e del suo valore attuale da una parte e, dall’altra, della costruzione di una rete di relazioni che possano suscitare interesse intorno agli onerosi interventi che i singoli beni richiedono qualora si renda necessario intervenirvi direttamente.
Il settore dei beni culturali ha un risvolto anche pastorale?
Si tratta di un settore che ha un grandissimo valore pastorale che si realizza su fronti diversi. Anzitutto bisogna riconoscere che l’educazione a scoprire e conoscere valori storici e culturali è un ottimo presupposto pastorale perché sviluppa quella naturale attrazione per il bello che ci porta a scoprire e conoscere le manifestazioni dell’amore di Dio attorno a noi. In seconda battuta, la creazione di quelle reti a cui ho accennato non favorisce soltanto il reperimento di risorse economiche ma rappresenta una vera e propria azione pastorale che unisce le comunità cristiane e avvicina ad esse molte persone che ordinariamente rimangono sulla loro soglia.
E i rapporti con lo Stato?
Questo è, infatti, un altro vasto campo che può assumere rilevanza pastorale. I rapporti sono con le istituzioni dello Stato e gli altri istituti culturali, a partire dall’Università con cui abbiamo numerose e proficue collaborazioni. In merito a questi interlocutori, la Chiesa si pone non solo come ente proprietario di beni, ma anzitutto come comunità viva che si fa conoscere nelle sue potenzialità e fragilità; una comunità che, oltre a rispondere come gli altri alla legge dello Stato, porta con sé dei valori condivisibili. Infine, è evidente a tutti che buona parte dei beni culturali anche non di proprietà ecclesiastica è a tema religioso: saper cogliere questa occasione è propriamente la sapienza pastorale.
(intervista di Don Fabio Arduino)
Le offerte permettono di garantire, in modo omogeneo in tutto il territorio italiano, il sostegno all’attività pastorale dei sacerdoti diocesani. Da oltre 30 anni, infatti, questi non ricevono più uno stipendio dallo Stato, ed è responsabilità di ogni fedele partecipare al loro sostentamento.
Le offerte rappresentano un atto concreto, sono il segno dell’appartenenza ad una stessa comunità di fedeli e costituiscono un mezzo per sostenere tutti i sacerdoti, dal più lontano al nostro.
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