
Fratelli tutti. L’ottavo e ultimo capitolo dell’enciclica
Francesco chiude la sua enciclica richiamando la responsabilità delle religioni; esse hanno la possibilità di formare la coscienza e la consapevolezza, per gli uomini, di essere “figli non orfani”, dunque capaci di vivere in pace tra loro. Per affermare la necessità dell’esperienza religiosa cita Benedetto XVI: “La ragione, da sola, è in grado di cogliere l’uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza civica tra loro, ma non riesce a fondare la fraternità”.
Il tema è sicuramente delicato poiché le differenze religiose sono state, nella storia, motivo di conflitti, violenze, discriminazioni; inoltre non è scontato nel nostro tempo, fondato su una visione estremamente razionale delle cose. Papa Francesco fa sue le parole forti di S. Giovanni Paolo II per affermare con forza che “se non esiste una verità trascendente, obbedendo alla quale l’uomo acquista la sua piena identità, allora non esiste nessun principio sicuro che garantisca giusti rapporti tra gli uomini”.
Nell’esordio del capitolo sembra di sentire i tre pontefici parlare insieme offrendo, tra l’altro, una lettura che evita ogni forma di spiritualismo e di astrazione dalla realtà: la vera trascendenza è l’accettazione della dignità della persona umana, immagine visibile del Dio invisibile.
Si percepisce un sincero ed accorato sforzo di annuncio ai credenti di ogni fede ed un invito a quanti non credono nel dialogo, perché sia evitata ogni forma di religiosità ideologica o violenta. Anche quando afferma convinto che tra le religioni è possibile un cammino di pace e che la violenza non trova base alcuna nelle convinzioni religiose fondamentali non essendone altro che una deformazione, Francesco si rivolge certamente a chi accusa le religioni di essere ostacolo alla pace del mondo, ma prima e soprattutto a chi ha la fede, affinché non si lasci irretire da forme deviate di religione né rapinare la certezza che, offrendo Dio al mondo, si compie un servizio prezioso all’intera umanità.
Nel Vaticano II si dichiarava la necessità, perché il mondo creda, di rispondere alla chiamata di Cristo Signore affinché i credenti in lui siano una cosa sola, superando le storiche divisioni che hanno ferito l’unità della Chiesa; tali divisioni, afferma il Concilio, sono di scandalo all’annuncio del Vangelo. Da allora sono stati fatti importanti passi di conoscenza, preghiera insieme, aiuto reciproco e confronto. Si pensi ai momenti di riconciliazione in occasione del Giubileo del 2000 oppure allo storico incontro a Cuba tra il Papa e il Patriarca di Mosca.
Passi importanti si sono fatti anche sul nostro territorio, che ha dato ospitalità a diverse comunità ortodosse e accolto la prima sede vescovile della comunità rumena; si sono intrattenuti importanti dialoghi di fraternità. La divisione tra i cristiani resta tuttavia un punto di debolezza. Francesco sottolinea la necessità di una testimonianza non solo unanime, ma anche profetica di unità da parte dei credenti in Cristo: “riconosciamo con dolore che al processo di globalizzazione manca ancora il contributo profetico e spirituale dell’unità tra tutti i cristiani.” L’enciclica si conclude con un appello.
In realtà pare piuttosto un impegno che il Papa prende per tutta la Chiesa, richiamando i contenuti del Documento sulla “Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la convivenza comune”, firmato con il Grande Imam di Al-Azhar: in nome dei poveri, dei miseri, in nome dei popoli che hanno perso la sicurezza e la pace. In nome della fratellanza umana lacerata dalle politiche di integralismo e odiose ideologie… “in nome di Dio e di tutto questo, dichiariamo di adottare la cultura del dialogo come via, la collaborazione comune come condotta, la conoscenza reciproca come metodo e criterio”.
Don Luca Franceschini