Il Signore Gesù è bontà e misericordia

Domenica 10 giugno, X del Tempo Ordinario
(Gen 3,9-15;  2Cor 4,13-5,1;  Mc 3,20-35)

23vangeloGesù è circondato dalla folla e non riesce nemmeno a fermarsi per mangiare. C’è l’urgenza di indicare alla gente la via per il Padre e di curare i sofferenti, perciò non ha neppure il tempo di provvedere al proprio sostentamento. Per i suoi parenti è davvero troppo e serpeggia il sospetto che sia impazzito. Fa anche esorcismi, e per questo gli scribi, appositamente scesi da Gerusalemme, insinuano: “È posseduto da Belzebù e caccia i demoni in suo nome”.
I capi del popolo non vogliono riconoscere, neanche davanti all’evidenza, che Gesù fa segni straordinari, e ha potere sul male e sulla morte. La loro è una tattica comune, una variante dell’accusare il medico di propagare lui stesso la malattia. Gli scribi non hanno nulla a sostegno delle proprie accuse, lo fanno solo per diffidenza nei confronti di Gesù. Questi dice cose che vanno contro il loro sentire, eppure scaccia i demoni.
Per gli scribi, la sola spiegazione deve essere che in realtà Gesù è in combutta con i demoni. Non è un ragionamento difficile da compiere, specialmente oggi nella nostra società dove vige la regola del sospetto. Ci viene insegnato a non fidarci mai di nessuno, ad aspettarci sempre il peggio dagli altri, a non farci dire quello che dobbiamo fare, proprio dalle persone che per prime pretendono di dircelo.
E il risultato finale lo spiega Gesù stesso: “Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non potrà restare in piedi; se una casa è divisa in se stessa, quella casa non potrà restare in piedi. Anche Satana, se si ribella contro se stesso ed è diviso, non può restare in piedi, ma è finito.” Diavolo vuol dire calunniatore, ma anche colui che separa. Il sospetto reciproco, la diffidenza sono il modo più rapido ed efficace per avvelenare una comunità. E per indebolirla. Oggi c’è un impulso diffuso verso l’atomizzazione della società. Da soli si sta meglio, da soli si è più liberi, gli altri sono un peso, quando non un pericolo. Ma da soli si è prima di ogni altra cosa più deboli. Il Figlio punta il dito contro questo atteggiamento, ricordandoci la nostra fondamentale unità nell’essere figli di Dio.
Gesù ci invita a continuare ad amare i peccatori, senza dimenticare che presunzione e orgoglio non possono averla vinta sulla verità. I nostri antenati hanno categorizzato i peccati “contro lo Spirito Santo”: l’assenza di speranza nella salvezza, la presunzione di salvarsi senza merito, il rifiutare la verità conosciuta, l’invidia della grazia altrui, l’ostinazione nel peccato, la mancanza di pentimento finale. Tra i nostri contemporanei potremmo fare un sondaggio e chiedere se ritengono di aver bisogno di essere salvati. E cosa pensano di dover fare per salvarsi.
La risposta molto probabilmente sarebbe: “No. Niente”. Se vogliamo presentare loro il Vangelo, dobbiamo essere consapevoli di questo, altrimenti rischiamo di limitarci a fare del moralismo borghese, di cui francamente non c’è alcuna necessità. “Chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre”. Non sono i legami di sangue, di tribù, di nazionalità che contano. La discriminante è la decisione di farsi suoi discepoli, è l’obbedienza alla sua Parola che ci introduce al regno del Padre. La comunione cristiana è innanzitutto intimità con lo stesso Cristo che si irradia tutt’intorno. Solo questa non passa inosservata.

Pierantonio e Davide Furfori