
La Repubblica sudamericana festeggia i 200 anni. Il grande contributo degli emigranti italiani, migliaia i lunigianesi

Nella República Oriental del Uruguay, sorta come paese indipendente duecento anni fa, il 25 agosto 1825, l’emigrazione ha radici lontane. Già nella seconda metà dell’Ottocento furono infatti migliaia i nostri connazionali che scelsero quel Paese lontano, stretto fra Argentina e Brasile, diventato la “Svizzera del Sudamerica”, alla ricerca di opportunità che il proprio territorio di nascita aveva loro negato.
La grave crisi economica, seguita alle guerre tra i Paesi dell’area, e quella politica, figlia delle aspre lotte per il potere, avevano sconvolto il paese sudamericano all’inizio degli anni Settanta dell’Ottocento.
Ma a partire dal 1876 in Uruguay iniziò una fase di consolidamento dello Stato e di investimenti in opere pubbliche che aprirono la strada alla modernizzazione e alla crescita sociale del Paese. Sul finire del XIX secolo la situazione era migliorata a tal punto da far nascere il mito di una realtà paragonabile a quella che la Svizzera rappresentava per l’Europa, con un’economia basata in gran parte sull’esportazione di beni come la carne e la lana, e frutto di una crescita della borghesia locale.
Oltre alla capitale Montevideo si svilupparono e crebbero realtà come Salto e Paysandù, seconda e terza città del Paese per numero di abitanti, caratterizzate da una forte presenza italiana. Una situazione, tuttavia, che avrebbe visto un declino iniziato lentamente all’inizio del Novecento e proseguito più rapido fino agli anni Cinquanta quando riprese una terza ondata migratoria anche dall’Italia.

Un contributo alla crescita economica e allo sviluppo sociale dell’Uruguay arrivò, a partire dalla fase cruciale vissuta negli anni Settanta, dagli immigrati europei che già allora rappresentavano il 70% della popolazione. E questi erano, in maggioranza, Spagnoli e Italiani i cui discendenti ancora oggi rappresentano la gran parte della società locale.
Come ricorda nel libro “Sulle tracce dei Toscani in Uruguay” (1999) la dott.ssa Carolina Dibueno Fenocchi, le cui origini familiari sono radicate a Grondola, un contributo molto significativo al movimento migratorio dall’Italia è arrivato anche dalla Lunigiana.
Le opportunità erano molte, il lavoro offerto vario e che ben si confaceva ai nostri conterranei: agricoltori e allevatori, artigiani e operai, ma anche scalpellini e venditori ambulanti. Molte famiglie, con il passare degli anni e delle generazioni, erano riuscite a salire nella scala sociale e lasciare un segno ben preciso e comunque la memoria del lavoro degli Italiani resta nella cultura della società locale.
Si pensi, ad esempio, al Palacio Legislativo di Montevideo, iniziato nel 1908: nei diciassette anni di lavoro necessari per la sua ultimazione si distinse lo scultore Pasquino Bacci, di Pietrasanta, al quale si devono molte delle grandi figure che caratterizzano il Parlamento che ha visto l’utilizzo di una grande quantità di marmo, lavorato con abilità dagli scalpellini giunti dall’Italia.
Marmo in Uruguay è sinonimo di “Nueva Carrara”, la cava aperta nel dipartimento di Maldonado (proprio da qui arrivarono i blocchi per il Parlamento) e così battezzata sia per il prestigio di cui godeva il marmo cavato dalle Apuane, sia per la presenza di maestranze originarie della nostra provincia.
E ancora, un fiorentino, Giovanni Veltroni, è stato architetto molto apprezzato in Uruguay, grazie alla progettazione di importanti edifici come la sede centrale della Banca nazionale a Montevideo (1938). Migliaia sono le storie che legano molti paesi della Lunigiana a quella Repubblica al di là dell’Atlantico: alcune sono state raccontate, altre attendono di essere svelate e condivise.
p. biss.