
L’anniversario del grande gelo e della eccezionale nevicata del gennaio 1985. Il freddo e la prima neve arrivarono sul finire del dicembre 1984, ma furono i primi giorni del gennaio 1985 quelli più difficili. Giovedì 10 la temperatura massima a Pontremoli fu -17 °C e la neve, accumulata in più giorni, superò i 70 cm in città

Sono passati quattro decenni da quell’inverno divenuto ormai mitico, così come erano considerati allora il 1929 e il 1956 dei racconti a noi giovani di genitori e nonni. Il tempo che scorre inesorabile ‘brucia’ tante cose, fatti e personaggi, ma quanto accadde sotto l’aspetto atmosferico in quell’avvio d’annata è fisso nella mente, oltre che salvato su diari, registri e files del computer. Venendo alla cronaca, si deve risalire ai giorni precedenti il Natale.
Il 1984 fu uno degli anni più freddi di tutto il XX secolo, ma le prime tre settimane di dicembre erano trascorse insolitamente miti. Il freddo iniziò a farsi sentire subito dopo il solstizio, con il soffio di una tramontana più rigida, senza che si potesse immaginare quanto più cruda sarebbe divenuta nel prosieguo.
Le notti di Natale e S. Stefano, gelide e serene, videro i termometri precipitare sottozero fino a sfiorare, il 26, i -10°C nelle campagne lunigianesi.
Si era creato il terreno buono per una nevicata all’avanzare di un sistema perturbato, bell’e pronto a ovest dell’Italia: il 27, la nostra vallata si ricoprì di un soffice mantello bianco di una decina di centimetri, quel tanto che basta a creare il quadretto natalizio caro alla tradizione. Le correnti fredde di tuffarono poi al Sud, scavando una depressione sullo Jonio: i venti boreali si sfogarono per quattro giorni sulla metà nord della Penisola; da noi, la tramontana ululò con violenza dal 28 al 31.
Al mattino del 31, un cenno di neve secca spolverò tetti e auto. Il vento si placò e il 1985 prese le mosse con giornate limpide, serene e sempre più glaciali. Le ore del primo pomeriggio consentivano un tenue, fugace stemperarsi del gelo, che tornava puntuale a mordere appena calato il sole.
Il 4, un venerdì, dopo la mattinata di sole e ghiaccio, vide l’avanzare delle nubi dal mare dopo pranzo: fummo investiti dalla classica “neve corsina” che ricoprì il suolo di 15-16 cm di manto nel giro di 4 ore. Non andò disperso uno solo di quei fiocconi asciutti e sempre più fitti. Il 5, sabato, la tramontana riprese a soffiare con impeto e con temperature che rimasero sotto zero tutto il dì a dispetto del sole brillante.

Il 6, la Befana portò in regalo una delle giornate più crude da decenni: al perfetto sereno e al vento siberiano, andarono congiunte temperature comprese fra -9 di minima e -5 di massima. Mentre tutto il Nord e la Toscana raggelavano sotto il cielo azzurro, Roma si coprì di neve: essendo giorno festivo, i disagi legati a tale situazione, rara per la capitale, risultarono attutiti.
Lunedì 7, complici la continua avvezione di aria dalla Siberia e l’effetto albedo sui suoli innevati, le temperature minime precipitarono senza freno cominciando a far cadere primati di freddo stabili da decenni come pietre miliari del clima. Fu quello il giorno in cui i record interessarono le località montane, diversamente dalle vallate e dalle pianure, dove le temperature più basse vennero aggiunte tra il 10 e il 12, all’aurora, a causa delle eccezionali inversioni termiche instauratesi al cadere di venti forieri di un freddo così acuto.
La seconda mandata di neve, frattanto, era pronta a rendere più cospicuo il manto già presente: l’8, in quella che fu la giornata con le ore diurne dal clima più severo (neve a tormenta con temometri fra -10°C e -6°C a Pontremoli), caddero altri 37 cm a mo’ di blizzard canadese. Laddove accumulata dalle incessanti folate, la neve era ormai spessa ben più di 60-70 cm, mentre nei punti esposti si attaccava ghiacciando per pochi, tenaci centimetri.

Il 9, fu una giornata di relativo miglioramento, con un nevischio pungente schiaffato dal vento gelido. Nei tre giorni successivi, le minime sottozero “a due cifre” si moltiplicarono: in quegli anni, però, le stazioni di rilevamento erano poche e i dati non disponibili in tempo reale (tranne pochi casi, riferiti alle stazioni dell’Aeronautica Militare e di qualche altra istituzione od osservatorio storico).
Oggi vi è una distribuzione molto più capillare di siti di misura, ma nel 1985 rimasero senz’altro ignoti i numeri di locali punte straordinarie di gelo. Nella zona assiale del fondovalle dell’alta Lunigiana, presso il corso del fiume Magra, dove convergono i territori dei Comuni di Mulazzo, Filattiera e Villafranca e l’ampia porzione di cielo visibile permette il massimo irraggiamento, già incentivato dalla quasi totale assenza di aree edificate, fonti non ufficiali parlarono di valori fino a -22/-23°C. D’altro canto, punte di -20°C si notarono in varie località della Pianura Toscana e della Valpadana; all’aeroporto di Firenze Peretola, il mercurio scese fino a -23°C. Nel Ghiaione di Villafranca, il 10, vennero misurati -19°C, mentre in ambito semiurbano, a Pontremoli, si scese fino a -17°C. L’escursione notte-dì, in atmosfera divenuta tranquilla, era marcata: nel primo pomeriggio, i termometri si riportavano per poco intorno a 0°C, che parevano una temperatura mite (!) a petto delle crude punte negative del primo mattino.
Una volta tramontato il sole, il mercurio crollava a -10°C già entro ora di cena. Il freezer prodottosi non attendeva altro che l’arrivo dei sistemi perturbati per ripetere una tormenta come l’8, ma il nevone che ammantò la nostra e altre contrade andò oltre ogni pronostico e imperversò fra il 13 e il 14.
La danza delle faluppe, via via più fitte e solenni, prese le mosse alle 9:20 di domenica 13 gennaio (orari osservati a Pontremoli); la nevicata, avviatasi con temperatura prossima a -10°C, divenne tormenta la sera, quando si udirono tuoni sordi e lontani nel folle e fittissimo turbinìo accecante della neve, unica cosa visibile all’aperto.
Un buon mezzo metro, alle 23, si era già depositato sul manto nevoso preesistente, ma al mattino del 14, alle 7:30, quando i fiocchi cessarono in un’atmosfera tornata calma, i cm di ‘fresca’ erano ormai 85: misura non agevole a farsi, tanto era stato tormentato dal vento l’enorme, bianco mantello!
Il vigore dei vent’anni non intimorì certo lo scrivente, che si adoperò sprofondando felice nella neve per condurre più misure e ottenere un dato medio affidabile. Davanti a casa, al riparo dalle folate, lo spessore sfiorava i due metri, mentre nei punti più esposti al vento una decina di cm erano tenacemente gelati alla superficie. Nelle località meno ventose, il manto risultò più uniforme.
Ad Aulla, 65-70 cm si depositarono più diffusamente gravando sui tetti: per fortuna, si trattava di neve molto asciutta e leggera. Tra il 14 e il 15, però, con il mitigarsi dell’aria, la neve si appesantì mentre veniva spalata e tolta dalle strade per consentire una graduale ripresa della viabilità. Nei giorni 15, 16 e 17, lentamente, aria più temperata prese campo a cominciare dal litorale apuano, dove già il 14 la neve aveva ceduto il posto alla pioggia. Il 15, al mattino, erano caduti altri 5 cm a Pontremoli prima che la pioviggine e la nebbia d’avvezione venissero a intristire, incupendolo, quel magico paesaggio.
Fra il 22 e il 23, sparirono gli ultimi residui di neve: al transito di un ‘treno’ di perturbazioni atlantiche, tra diluvi di pioggia e lo spirare del ‘marino’, i fiumi tornarono a ruggire, in piena, dopo essere stati rappresi dal ghiaccio.
Al termine di quel mese di gennaio di quarant’anni fa il bilancio dei danni e dei disagi fu importante: impianti idraulici in panne a causa del ghiaccio e, di conseguenza, abitazioni senz’acqua; moltissimi i black-out elettrici, grandi le difficoltà nella circolazione stradale e nei collegamenti con ritardi nelle corse di autobus e di treni, paesi e frazioni a lungo isolati o raggiungibili solo con molta difficoltà.
Maurizio Ratti