

Compie 500 anni la magnifica pala che ricopre l’intera parete di fondo del presbitario nella chiesa parrocchiale di San Terenzo, nell’omonima frazione della valle del Bardine, nel territorio di Fivizzano.
Sarà per la bellezza di quelle figure estratte dal marmo bianco cavato dalle Apuane a monte di Carrara; sarà per l’abilità di un artista arrivato fin qui da lontano o, ancora, per il contrasto con la periferia dove oggi si trova il paese un tempo fulcro di percorsi e frequentato da moltitudini di viaggiatori, sta di fatto che ogni volta che si entra nel tempio non ci si può sottrarre alla sorpresa e all’emozione.
L’autore di tanta magnificenza è Domenico Gare (o Gar), scultore arrivato in Italia dal dipartimento dell’Alta Marna, nella Francia centro-orientale, sul finire del secondo decennio del Cinquecento: Carrara e Pietrasanta tra le sue mete.
Ed è proprio nei laboratori della città apuana che mette a frutto la sua abilità, sotto la straordinaria guida di Bartolomé Ordóñez, artista spagnolo che in Toscana aveva assorbito gli influssi di “maestri” quali Jacopo Sansovino e del genio giovanile di Michelangelo.
Come nota la prof.ssa Caterina Rapetti nel suo “Storie di marmo. Sculture del Rinascimento fra Liguria e Toscana” (Electa 1998), quella che adorna l’abside della chiesa di San Terenzo Monti è la prima opera che “il Francesino” porta a termine nel nostro territorio.
È il 1525: mentre lavora al suo completamento Domenico Gare riceve altre commesse importanti che avrebbe poi completato nei pochi anni a seguire che lo separano da una morte prematura.

La storica dell’arte coglie come quest’opera “costituisce un’innovazione nell’ambito della cultura apuana; certamente già in esecuzione quando si inizia a Carrara l’altare del Corpo di Cristo, rappresenta il primo esempio di altare a struttura architettonica”; infatti “al dossale marmoreo […] si sostituisce qui il tutto tondo delle sculture che insistono in una nicchia il cui incavo rosso ne accentua la profondità e il contrasto”.
Emerge l’abilità con la quale il Gare definisce alla perfezione le sculture, con grande attenzione ai particolari, dedicando notevole accuratezza all’esecuzione degli elementi architettonici che definiscono l’insieme.
Così nella relazione seguita alla visita apostolica del vescovo Angelo Peruzzi del 1584, l’opera viene definita “icona pulcherrima marmorea bene laborata”, dunque “bellissima”. Al centro è la Vergine, raffigurata a mani giunte; sul suo capo due angeli sorreggono una corona mentre, sopra, è l’Eterno Padre in atteggiamento benedicente.

Nella nicchia di sinistra è San Terenzo, in abiti vescovili, con lo sguardo rivolto al libro aperto sulle mani; in quella di destra San Giovanni Battista, vestito del solo vello rovesciato, sorregge il libro chiuso sul quale è l’agnellino rampante.
In alto, ai lati, due statue più piccole mostrano Santa Caterina d’Alessandria e Sant’Agata; il tutto termina in un Crocifisso posto su un plinto con la data “1525”. Alla base, la predella racconta l’episodio della traslazione del corpo del santo, ucciso alla marina di Luni.
La devozione vuole che le sue spoglie siano state affidate ad una coppia di buoi che, aggiogati al carro, si siano diretti verso l’interno. Superando il crinale delle colline che dividono la Lunigiana orientale dalla pianura lunense si sarebbero infine fermati in questa località, ribattezzata con il nome del vescovo martire che riposa nella chiesa poi costruita in suo onore.
L’abate fivizzanese Emanuele Gerini, in un saggio del 1829, aveva ipotizzato che sia la predella stessa a contenere le reliquie di San Terenzo, un’ipotesi alla quale, tuttavia, viene preferita quella che i resti siano sotto l’altare maggiore della chiesa. Paolo Bissoli