
Preoccupazioni dal rapporto del Censis sulla situazione sociale dell’Italia.
Emerge un senso di abbandono e di impotenza in una società vista dai più come diseguale e ingiusta, nella quale non sono percepiti grandi margini di miglioramento. Intanto le famiglie si impoveriscono: in dieci anni (2014-2024) la ricchezza netta familiare è diminuita del 5,5%

L’istituto di ricerca Censis (Centro Studi Investimenti Sociali) ha pubblicato il suo annuale rapporto sulla condizione socio-economica della popolazione italiana; ci viene restituito un quadro nel quale traspaiono in modo oggettivo e preciso non solo un’incertezza verso il futuro e una mancanza di strumenti culturali utili per orientarsi nel mondo, ma più in generale un senso di abbandono e impotenza in una società vista dai più come diseguale e ingiusta, nella quale non sono percepiti grandi margini di miglioramento.
Proprio a questo proposito si può citare un dato che fa da cornice a tanti altri: l’85,5% degli italiani è convinto che vi siano poche possibilità di ascesa sociale a partire dalle proprie condizioni.
La causa di questo ragionamento sta nella sempre maggiore disuguaglianza economica tra le classi abbienti e la classe media che si impoverisce: in vent’anni (2003-2023) il reddito lordo pro capite delle famiglie è diminuito del 7%, e in dieci anni (2014-2024) la ricchezza netta familiare è diminuita del 5,5%.
Dal punto di vista politico, il dato più preoccupante è la sfiducia crescente verso la democrazia come sistema di governo: il 68,5% ritiene che le democrazie liberali occidentali non funzionino più.
Anche alla luce di questo vanno letti l’insoddisfazione riguardo alla classe politica, vista come un’élite disinteressata ai problemi reali del paese, e il crescente astensionismo rilevato in occasione delle tornate elettorali (51,4% alle ultime elezioni europee).
Luoghi che dalla politica meriterebbero una considerazione ben diversa sono i piccoli paesi delle zone rurali, lontani dai centri urbani: la nostra Lunigiana è in questo senso direttamente toccata.
È ben documentata la condizione di svantaggio che investe le famiglie che vi abitano: nei comuni sotto i 2.000 abitanti emerge infatti una difficoltà a raggiungere luoghi di interesse generale come pronto soccorso (68,6%), supermercati (54,9%), Commissariati di Polizia e Carabinieri (37,8%).
Una situazione che si abbina allo spopolamento della campagna, al quale si dovrebbe porre rimedio attraverso politiche di sviluppo mirate, per favorire il ripopolamento e che tengano conto, in una prospettiva di ripresa economica, delle peculiarità di ogni territorio.
Un ulteriore elemento che contribuisce ad indebolire la coesione sociale e aumentare quindi il senso di precarietà è la fondata percezione di una minore efficacia dello Stato sociale. Nel rapporto si legge una frase precisa: “Il welfare sembra destinato a perdere quel carattere di universalismo delle origini, inclusivo e coesivo”.
Questo vale senz’altro per le prestazioni mediche, con il 78,5% che ritiene insufficiente il sistema sanitario pubblico. Poco più della metà della popolazione infatti ha dichiarato di aver dovuto attingere ai risparmi personali per risolvere i propri problemi di salute. Una situazione che non fa altro che peggiorare, se si tiene conto che tra il 2013 e il 2023 la spesa sanitaria privata pro capite è salita del 23%.
Ma neppure la scuola è risparmiata: alla fine del percorso scolastico superiore non raggiunge i traguardi di apprendimento in lingua italiana il 43,5% degli studenti dei licei e l’80% negli istituti professionali.
Nel rapporto con la cultura si evidenzia in tutte le fasce della popolazione un’ignoranza diffusa e un profondo impoverimento. Alla base c’è la mancanza di considerazione del sapere e dell’istruzione come mezzi per elevare la propria condizione, come strumenti per comprendere il mondo circostante nelle sue varie sfaccettature, con uno sguardo aperto e senza banalizzazioni.
La costante sensazione di incertezza che la maggioranza degli italiani sperimenta si riversa poi in maniera pressante sui giovani e sulla considerazione che possono avere del futuro e della realizzazione personale.

Avvalora questa affermazione il fatto che il 51,8% dei giovani abbia sofferto di stati d’ansia o depressione, il 32,7% di attacchi di panico, il 18,3% di disturbi alimentari quali anoressia e bulimia. La reazione a questo malessere per un terzo dei giovani passa per la consulenza di uno psicologo, ma è preoccupante pensare che per un 16,8% preveda sonniferi o psicofarmaci.
La cronaca riporta spesso casi di insofferenza e disagio giovanile, tuttavia i dati ci possono aiutare ad oggettivizzare una situazione non facile ma che certo non deve scadere nella generalizzazione.
Numerosi giovani infatti ricoprono ruoli aziendali o hanno fondato imprese, e in cinque anni sono aumentate la percentuale di laureati tra gli occupati nella fascia 25-34 anni (31,7%, con un aumento del 14%) e la percentuale di assegnisti di ricerca (+18,7%).
È proprio con i giovani dunque che la relazione del Censis mette in luce alcuni aspetti positivi.
Mattia Moscatelli