
Le temperature record del Mediterraneo alla base delle piogge devastanti sulla Comunidad Valenciana.
Il negazionismo climatico è privo di supporto scientifico ma, adottato dall’estrema destra, assume un valore politico che rallenta e dilata i tempi della transizione ecologica

C’è chi ha ricordato Longarone e il Vajont per commentare gli effetti della tragica alluvione nella Comunità di Valencia. La speranza è che l’analogia possa essere smentita circa la contabilità delle vittime, anche se le 222 morti accertate (ma sono ancora centinaia i dispersi) mentre il settimanale va in stampa sono comunque una tragedia gravissima.
Di certo tra il disastro del 1963 e le desolanti immagini di questi giorni un’analogia c’è: la violenza delle acque, anche se per cause diverse, è conseguenza dei comportamenti umani.
Se la cosa apparve in tutta la sua evidenza nel Bellunese, in Spagna la correlazione tra attività umana e reazione della natura è più mediata, ma non per questo meno evidente.
I meteorologi hanno identificato la causa principale delle intense precipitazioni nel territorio di Valencia in un evento meteorologico che colpisce la Spagna in autunno e in inverno, talvolta chiamato “DANA”, l’acronimo di “Depresión Aislada en Niveles Altos”, ovvero depressione isolata ad alta quota: quando l’aria fredda si sposta sulle acque calde del Mar Mediterraneo, permette all’aria più calda e umida in superficie di salire rapidamente.
Questo fenomeno crea instabilità atmosferica e fa sì che l’aria calda e satura salga rapidamente, provocando forti piogge e temporali poichè l’aria più calda può trattenere più vapore acqueo e quindi rilasciare più pioggia.

Fisici e meteorologi concordano nell’affermare che nell’Europa meridionale questi episodi sono diventati più estremi negli ultimi anni, a causa del surriscaldamento del Mediterraneo, rendendo le piogge più violente e frequenti anche in zone climatiche, come quella valenciana, in cui le precipitazioni annue sono attorno ai 500 mm, più o meno la stessa quantità caduta in un giorno sull’area calamitata.
Ad agosto, il Mediterraneo ha raggiunto ovunque la temperatura più alta mai registrata. Le maggiori temperature marine, secondo gli esperti del clima, sono conseguenza del cambiamento climatico, a sua volta determinato, secondo la scienza, dalle attività umane.
A certificarlo è pure l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici, i cui report non solo danno conto di accurate ricerche scientifiche ma, per essere resi pubblici, devono essere approvati dai delegati dei governi dei 195 paesi che fanno parte dell’organismo internazionale.
Nonostante la legittimazione scientifica e politica fornita da IPCC al tema del riscaldamento globale, i negazionisti climatici non demordono e continuano a scambiare grossolanamente il meteo con il clima, a ricordare con aggressività che le alluvioni in autunno e il caldo in estate ci sono sempre stati, così come l’“estatina dei Santi”, che ha portato in molti a fare il bagno lo scorso fine settimana nel mar Ligure, spesso inconsapevoli che i tuffi spensierati di novembre assomigliano all’orchestra che suona e ai balli felici sul Titanic.
La tragedia di Valencia ha anche dimostrato che il negazionismo climatico non è un fenomeno di folklore, ma una posizione politica, come quella del governo regionale del Ppe e dell’estrema destra di Vox, che ha smantellato il dipartimento di emergenza – lo “Stato minimo” è pur sempre nel dna dell’estrema destra – e ha sottovalutato l’allerta, tranquillizzando i cittadini di fronte alla catastrofe in arrivo.
È la stessa estrema destra, imparentata con quella italiana, che ha rivendicato di aver organizzato e veicolato le contestazioni al Re Felipe VI e le violenze contro il Primo ministro Sanchez, domenica scorsa in visita sui luoghi del disastro.
L’emergenza climatica offre dunque uno spaccato rappresentativo della politica europea: l’estrema destra intenta a rappresentare negazionisti e complottisti, ieri rispetto alla pandemia e ai vaccini, oggi rispetto ai disastri naturali; popolari e liberali tesi a dilatare i tempi della transizione ecologica affinché sia sostenibile (cioè profittevole) per il sistema economico capitalista; socialisti e democratici privi di una chiave interpretativa della crisi ambientale che riesca a dare al progressismo connotati nuovi rispetto a quelli novecenteschi.
In questo panorama, nessuno vuole fare proprio il legame tra problema ecologico, disuguaglianze e guerre evidenziato da Papa Francesco nella Laudato Si’ con il nome di “ecologia integrale”. Ma nemmeno temi più concreti come la prevenzione dei rischi idraulici e dell’impermeabilizzazione del suolo sembrano più di tanto fare capolino nelle agende politica, nonostante le immagini che arrivano dalla Spagna.
Anzi, come in una sorta di mondo al contrario c’è chi, come Giovanni Toti, presidente uscente della regione più cementificata e a maggior rischio idrogeologico d’Italia, ha l’ardore di scrivere: “Vista la tragedia di Valenza (sic!), alziamo gli argini, costruiamo dighe più robuste, vasche di raccolta per le acque. Più cemento, non meno: certo ambientalismo ci danneggia”. E c’è chi gli crede.
(Davide Tondani)