Giovanni Antonio Da Faie pellegrino a Roma per la “perdonanza” del giubileo 1450

Il giubileo del 1450 fu indetto sotto il papato del sarzanese Tommaso Parentucelli eletto papa a Roma col nome Niccolò V nel 1447, morì nel 1455.
In preparazione del giubileo del 1450 restaurò le grandi basiliche, mura e ponti e fondò la Biblioteca Vaticana, sperando con questo prestigio di difendere Costantinopoli e la chiesa ortodossa dai turchi, ma nel 1453 il sultano Solimano II pose fine all’impero romano d’Oriente.
Niccolò V cadde in grave tristezza che lo portò alla morte. Del Giubileo niccolino abbiamo la testimonianza preziosa di un pellegrino lunigianese che fece il cammino penitenziale a piedi e a cavallo nel marzo 1450: è Giovanni Antonio Da Faie, nato a Malgrate nel 1409 e morto a Bagnone nel 1470.
Dopo anni tribolati raggiunse uno stato sociale ed economico soddisfacente come unico e affermato maestro speziale nel borgo di Bagnone, si dedicò da autodidatta a scrivere il Libro de croniche e memoria e ammaystramento per lavenire, distinto in due parti, una autobiografia e una testimonianza della realtà sua interna e lunigianese. Non sapeva di latino e quindi usa la “scrittura mercantesca” in volgare e risulta preziosa opera per lo studio dei dialetti dell’Italia del Quattrocento.
Era uomo di fede, si fece pellegrino per meritare la “perdonanza” delle sue colpe. La Cronaca dell’evento contiene anche l’arguta e gustosa osservazione che in quel “zubuleo molte persone credevano maritare molte zovene chi fiole chi sorelle senza dota, chi credea arichire de dote e che de redità; e el pensiero gh’è venuto falato”.
Con umorismo scrive che rimasero delusi, come ovvio, anche osti e albergatori. Non era questa certamente l’intenzione di Giovanni Antonio, e dei pellegrini bisognosi di guadagnarsi la “perdonanza” dei peccati istituita da papa Celestino V nel 1294.
Era diventata pratica comune ricercare il perdono per fede o con opere di suffragio; era maturata la certezza dell’esistenza di un luogo intermedio tra la dannazione e la salvezza, è il Purgatorio che lo storico grande medievista Jacques Le Goff chiama “tempo intermedio in senso temporale e spaziale” di una“geografia dell’oltretomba”.
Che i viventi possano avere vivo contatto coi defunti pregando per la loro purificazione e ascesa al cielo è ben chiaro a Dante nello specifico del canto VI del Purgatorio ma è esortazione e speranza a fondamento di tutta la Commedia: la preghiera, le opere buone sono “un fuoco d’amore che paga il debito” dovuto a Dio.
Giovanni Antonio, dopo gravi difficoltà economiche e di salute fisica, divenne abbastanza ricco farmacista a Bagnone, trovò i soldi per il viaggio a Roma;spese otto fiorini d’oro e fu alloggiato col cavallo “per più dì” a Castel Sant’Angelo dove era castellano il bagnonese Jacopo da Noceto.
Impiegò 34 giorni compreso il viaggio; per regola il perdono si doveva conquistare restando almeno 15 giorni che poi furono ridotti a 4 per evitare affollamento e anche contagio in tempi di pestilenze, come quella che aveva infuriato nel giubileo del 1400. L’evento centrale era la visita alle basiliche e soprattutto la tomba di San Pietro primo pontefice del Cristianesimo.

(M.L.S.)