
Si è svolto il 18 e 19 ottobre a Marina di Massa il Convegno diocesano sulle Unità pastorali. Relazioni, testimonianze e lavori di gruppo in stile sinodale. La sfida di un percorso senza schemi precostituiti che per essere attuato necessita della volontà e della passione di tutti.
Un cantiere aperto, nel quale continuare a prendere coscienza della realtà e a porsi in ascolto di essa; uno spazio in cui continuare a costruire percorsi di relazione e costruzione di comunità.
Con queste linee guida che il Vescovo Fra’ Mario e don Piero Albanesi hanno chiuso il Convegno Pastorale diocesano del 18-19 ottobre, un momento organizzato non per deliberare un nuovo assetto dell’organizzazione diocesana e per dare un volto compiuto alle unità pastorali esistenti e a quelle che verranno, ma per confrontarsi a quasi due anni dai primi esperimenti di ripensamento delle entità pastorali della diocesi apuana.
All’ex Istituto Sacro Cuore non si è assistito ad un convegno classico con relazioni, dibattito, conclusioni, ma ad un’assemblea dal sapore volutamente sinodale in cui, come ha affermato don Piero Albanesi, vicario episcopale per le nuove entità pastorali, “abbiamo voluto dare alle persone un messaggio che questi percorsi si fanno se c’è la volontà e la passione di portarli avanti” e non calando soluzioni dall’alto.
Un’assemblea numerosa e attenta, un momento per confrontarsi a quasi due anni dai primi esperimenti di ripensamento delle entità pastorali della diocesi apuana.
Il Vescovo Fra’ Mario e don Piero Albanesi hanno guidato e concluso i lavori. “Questi percorsi si fanno se c’è la volontà e la passione di portarli avanti”.

Con loro, primo a sinistra, mons. Calogero Marino, vescovo di Savona-Noli
Un’assemblea numerosa e attenta, nella quale purtroppo si è fatto fatica a scorgere volti giovani, si è confrontata in gruppi di lavoro dopo aver assistito a due interventi capaci di offrire stimoli e chiavi interpretative. Mons. Calogero Marino, vescovo di Savona-Noli, ha sviluppato il tema “Una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa”.
Al centro della sua analisi la necessità di una Chiesa missionaria che rifiuti scelte di autopreservazione e la messa in discussione della parrocchia come modello organizzativo che forse “non può più essere considerato in grado di reggere il confronto con le esigenze pastorali di oggi”. Farsi prossimi alla vita reale delle persone e costruire comunità, piuttosto che fermarsi a offrire servizi religiosi sono le condizioni indicate dal presule per una nuova evangelizzazione.
Nella stessa sessione è stato il frate minore Padre Krysztof Paszkiewicz a mettere in evidenza, pur non nascondendo le difficoltà della Chiesa di oggi in una società secolarizzata e indifferente al divino, la necessità di “cambiare lo stile e il linguaggio della nostra comunicazione” per ricostruire “piccole comunità nello spirito del Signore.
Questo momento di crisi – ha concluso il frate, dopo aver riflettuto sulla crisi della parrocchia e sui limiti delle unità pastorali – è in realtà un tempo di Grazia per crescere, camminare e costruire insieme, nella Chiesa, sotto la guida dello Spirito Santo in un’avventura bellissima e affascinante”.
Le relazioni sulle esperienze di integrazione nei vicariati di Pontremoli, Villafranca e Carrara, le osservazioni dei ricercatori di Diathesis, la società che ha fatto da consulente nella costituzione delle nuove entità – unità pastorali o zone pastorali – e i lavori di gruppo dei partecipanti hanno fatto emergere come ogni realtà vada a cercare le forme più adatte per accompagnare le comunità cristiane nel pensare e costruire le modalità della propria presenza.
Nessun modello standard da applicare ovunque. E diverse sono anche le strategie che sono state adottate per favorire le convergenze e le integrazioni. Del resto, l’esperienza di Carrara, volta a integrare tre comunità parrocchiali che coesistono nella medesima area urbana, è diversa dalla realtà rurale delle 44 piccole parrocchie del vicariato di Villafranca o da quella delle 21 parrocchie della montagna “satelliti” di un capoluogo strutturato come Pontremoli.
Il convegno è servito per mettere in comune pratiche, esperienze, difficoltà. E i gruppi di lavoro hanno riflettuto speranze, timori di preti, operatori pastorali, semplici fedeli. Il prossimo passo, annunciato da don Piero Albanesi, sarà proprio quello di raccogliere le indicazioni dei partecipanti al convegno per prendere in considerazione quanto emerso.
Sullo sfondo del processo di integrazione che passo dopo passo riguarderà tutta la Diocesi ci sono le diverse ragioni di fondo che spingono verso un nuovo assetto organizzativo.
Le unità pastorali sono un rimedio per fare fronte alla riduzione dei preti oppure sono una risposta alla necessità di trovare nuovi modi per evangelizzare un mondo e una società in cambiamento?
Le due opzioni rispondono a due diverse idee di Chiesa e di missione e la risposta che arriverà dipenderà da quanto il Popolo di Dio, laici e presbiteri, sarà in grado di affrontare la sfida esplicitata nel titolo del convegno stesso: “Le Unità Pastorali, nuova opportunità per essere sale e lievito nel mondo”.
Si tratta, lo ha chiarito don Piero Albanesi a fine convegno, di “tornare a parlare all’uomo e di quanto è bello vivere secondo il Vangelo, attraverso quella che è la fraternità e la fratellanza”. Il percorso è appena cominciato, il cantiere è aperto.
Davide Tondani