
Prove archeologiche dimostrano come all’epoca del re Alboino (VI sec.) il percorso utilizzato non fosse per il passo della Cisa, ma per il valico a 1224 metri. Da qui per la Valdantena e la valle del Caprio, “sorvegliato” dal presidio di Monte Castello raggiungeva Sorano

Intervengo relativamente ad alcune nuove ipotesi sul confine longobardo-bizantino nel nostro Appennino avanzate di recente sul Corriere Apuano (n. 30 del 27 luglio 2024, ndr) anche in relazione al monte Valoria (Cisa romana), una mia scoperta con tre campagne di scavi archeologici condotti tra 2012 e 2015.
In merito desidero far presente che la documentazione archeologica da me acquisita e presentata in un ricco volume va in tutt’altra direzione, come confermato anche dalle risultanze degli scavi condotti da Enrico Giannichedda a Monte Castello in val Caprio.
Già da sola l’esistenza della Via di Monte Bardone (Mons Langobardorum), vale a dire il percorso della Cisa attuale, ci mostra quale grande importanza avesse rivestito in età longobarda questo tracciato, che con re Liutprando (anno 712), nel corso dell’VIII secolo, ospiterà gli xenodochi di Berceto-S. Moderanno e S. Benedetto di Montelungo.

All’epoca dell’invasione di Alboino il percorso utilizzato per l’ingresso in Toscana e in Italia centro-meridionale non doveva essere stato però questo bensì ancora la non lontana Sella del Valoria, a giudizio di due reperti proprio dell’epoca dell’invasione ritrovati negli scavi:
1) uno sperone di cavaliere utilizzato nella seconda metà del VI secolo;
2) un grano di collana goto-longobardo del tipo Grancia, di metà VI secolo. Si tratta di una testimonianza unica la quale documenta come almeno una rilevante quota dell’invasione longobarda sia transitata proprio da questo passo naturale a 1224 metri slm, che si raggiungeva seguendo sempre la stessa dorsale Taro-Baganza, dalla collina parmense fino al crinale con la Lunigiana.
Pierluigi Castagneto, nell’articolo citato, incentra invece la sua ricostruzione sul poco conosciuto Passo del Cavorsella (m 1506 slm), tra Reggiano e alta Garfagnana. Complicata è a mio avviso la geografia fisica del piccolo valico naturale del Cavorsella, posto a breve distanza dal più ampio e più noto valico di Pradarena (il cui utilizzo è però documentato solo dal medioevo in poi), Cavorsella che si raggiunge dalla valle dell’Enza dopo essersi inoltrati in altre valli collaterali (Tassobbio, Secchia), proseguendo un’intricata serie di direttrici che mai sono state un percorso di grande rilevanza bensì una pista naturale esostorica, frequentata quindi fin dalla Preistoria ed anche in epoca romana ma mai a scopo commerciale, mai come via di grande transito.

La vera via Parma-Lucca, quella commerciale, superato il Valoria scendeva in Lunigiana fino ad Aulla, per poi risalire il fondovalle fino al Valico di Tea (quota 955 metri slm, documentato dal ritrovamento di monete romane ed uno xenodochio altomedievale) per poi ridiscendere in Val di Serchio.
L’ipotesi di Pierluigi Castagneto che la via romana Parma-Lucca, detta anche la strada delle 100 miglia, abbia da sola veicolato l’invasione longobarda è, a mio avviso, priva di fondamento, così come è impossibile sostenere che i presidi bizantini lunigianesi siano stati attivi per lungo tempo ancora, dopo la calata di Alboino (dopo aver citato i reperti di VI secolo dal Valoria andrà ricordato che Mannoni e Giannichedda hanno proposto un terminus post quem per monte Castello in val Caprio tra metà VI e metà VII secolo, nell’impossibilità di precisare ulteriormente questa datazione).
Da parte mia, dopo aver evidenziato che la via romana Parma-Lucca/Luni scendeva dal Valoria, ho dimostrato con lo scavo a Forno di Versola (scavi 2018) che essa, escludendo Pontremoli, proseguiva per Logàrghena per ridiscendere in val Caprio, raggiungendo Sorano. Il presidio bizantino di Monte Castello fu eretto, a mio avviso, in quella posizione proprio perchè ne controllava il percorso sottostante, ed i dati archeologici dal Valoria suggeriscono sia stato attivo fin quando i Longobardi raggiunsero Lucca, che ne divenne la capitale della Tuscia (anno 572).
La Lunigiana, quale corridoio naturale N/S, ebbe quindi un grande ruolo. Al Valoria i percorsi antichi sono in gran parte ancora riconoscibili, e nei punti di stretta forzata essi aumentano di numero fino a poterne contare 7-8 affiancati, in uno dei quali si trovava peraltro l’iscrizione preromana celto-ligure di III secolo a.C., percorsi affiancati che avrebbero potuto benissimo consentire il transito a moltitudini di genti anche nei punti di più difficile passaggio.
Non così al Cavorsella, che mostra solo un dedalo di sentieri, nessun percorso antico, nessun reperto, oltre al fatto che la quota in cui si trova (m 1506 slm!) lo avrebbe reso impraticabile molti mesi all’anno.
Lo stesso studioso reggiano Nicola Cassone, che per primo trattò di questo valico del Cavorsella in un saggio sulla Parma-Lucca ospitato nel mio volume sul Valoria, ha recentemente ammesso che il percorso commerciale Parma-Lucca non avrebbe potuto seguire il tracciato della val d’Enza, bensì quello che da Aulla-val Aulella, passando per la citta romana di Foro Clodi raffigurata nella Peutingeriana (circondario di Codiponte), saliva allo splendido ed ampio valico naturale di Tea (m 955 slm), per ridiscendere in val Serchio.
Per favore lasciamo alla Lunigiana la propria storia, andando a percorrere e a conoscere direttamente i luoghi di cui si vuole trattare, un consiglio che mi sento di estendere a tutti coloro che si occupano di topografia antica.
Angelo Ghiretti
Archeologo
Presidente della Deputazione di Storia Patria Province Parmensi