
Preso e ucciso dai fascisti, il 16 agosto 1924 ne veniva ritrovato il corpo. Tra gli assassini anche quell’Amerigo Dùmini che aveva guidato il fallito assalto alla “rossa” Sarzana

Cento anni fa, il 16 agosto 1924, nella campagna romana venivano ritrovati i resti del deputato Giacomo Matteotti.
Fiero oppositore del regime, era stato rapito nove settimane prima da una squadra di fascisti incaricati di eliminare quel socialista che, il 30 maggio, aveva osato pronunciare parole di fuoco contro Mussolini e il fascismo, contro la violenza nera che insanguinava l’Italia a colpi di bastone e di rivoltella, contro quelle elezioni che non potevano non decretare la vittoria del futuro duce che avrebbe portato il Paese in guerra e alla rovina.
La mattina del 10 giugno 1924, nei pressi della casa di Matteotti, da un’auto, scendono cinque uomini; affiancano il parlamentare e uno di loro lo abbatte con un pugno di inaudita violenza. Sollevato dagli altri quattro, nonostante la resistenza, viene caricato di peso sull’auto e portato via.
A quanto pare la lotta disperata prosegue sul sedile posteriore: Matteotti è giovane, ha appena 39 anni e in tre non riescono a sopprimerlo; sul sedile anteriore siede Amerigo Dùmini, personaggio di spicco dei fascisti picchiatori, arrivato a Roma dalla sua Firenze.
Questi ha dimostrato di essere un elemento di spicco, un vero esperto nelle missioni punitive più estreme, anche se non tutte gli sono riuscite.

Lo smacco più clamoroso fu quello di Sarzana del 21 luglio 1921: alla testa di centinaia di camicie nere arrivate in treno da mezza Italia voleva dare una lezione alla “città rossa” che non si voleva sottomettere e che aveva osato mettere in galera il ras carrarese Renato Ricci. Come noto gli andò male!
Ma pochi giorni prima, il 2 giugno, con altri, aveva preso parte all’omicidio a Carrara del socialista Renato Lazzeri e della madre. A Roma il rapimento di Matteotti aveva avuto numerosi testimoni e in breve la notizia si era diffusa tra i compagni di partito; la moglie Velia non ha alcuna notizia e non ne avrà fino al ritrovamento di quel che restava del corpo, a distanza di settimane.
Intanto Mussolini deve affrontare un Parlamento dove regna lo sgomento perché i parlamentari sono avvisati della sorte che tocca agli oppositori, ma forte è anche lo sdegno che viene manifestato nei confronti del presidente del Consiglio.

Le parole sono di apparente sono di condanna, ma le ricostruzioni storiche concordano nell’indicare le sue responsabilità in quanto accaduto. E dopo le frasi di circostanza e la propria ricostruzione dei fatti, Mussolini non risponde alle domande di alcuni deputati.
Il repubblicano Eugenio Chiesa, uno dei padri del porto di Marina di Carrara, rivolge parole di fuoco al capo del Governo accusandolo di complicità nel rapimento di Matteotti. La risposta arriva da Giuseppe Bottai che lo aggredisce. Chiesa sarà costretto all’esilio in Francia e morirà in Normandia nel 1930.
Intanto, il 16 agosto, il corpo di Giacomo Matteotti viene ritrovato: era stato malamente sepolto nei dintorni di Riano, località a circa 25 chilometri dal luogo del rapimento. Si organizzano le esequie; moltitudini di persone affollano le stazioni ferroviarie dove transita il treno che trasporta i resti del parlamentare socialista.
Cinque giorni dopo, il 21 agosto, nel paese natale di Fratta Polesine, in provincia di Rovigo, si svolgono i funerali ai quali parteciparono migliaia di persone.
Ma il fascismo è ormai padrone dell’Italia ed inizia una nuova stagione dello squadrismo, mentre la politica di ritira sull’Aventino.
Intanto, poco dopo il rapimento, il regime, per salvare la faccia, aveva fatto in modo che Dùmini finisse comunque in carcere; venne processato e, con alcuni complici, condannato a cinque anni perché riconosciuto colpevole di solo omicidio preterintenzionale. Inoltre potè godere di una quasi immediata amnistia. Sarebbe poi morto nella sua casa di Roma alla fine del 1967 all’eta di 73 anni.
Paolo Bissoli