Il profeta disprezzato

Domenica 7 luglio – XIV del Tempo Ordinario
(Ez 2,2-5; 2Cor 12,7-10; Mc 6,1-6)

Gesù torna “nella sua patria”, ma proprio a casa sua riceve le prime delusioni. Quello che è accaduto a Nazareth è quello che accade anche nelle nostre comunità: finché nessuno fa niente, ci si lamenta dell’inerzia; quando qualcuno emerge per qualche iniziativa, viene stroncato con discorsi qualunquisti, con riferimenti alla sua vita passata o con apprezzamenti sui familiari.
1. Si mise a insegnare nella sinagoga. Gesù si presenta ai suoi compaesani come “pieno dello Spirito del Signore, mandato a portare ai poveri il lieto annuncio” (Lc 4,18). Purtroppo non trova accoglienza ma freddezza, resta deluso e viene anche snobbato.
L’iniziativa divina si imbatte sempre nell’enigma della resistenza e del rifiuto, come leggiamo in altro passo del vangelo: “Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto” (Gv 1,11).
Eppure Mosè aveva predetto: “Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto” (Dt 18,15); invece Gesù deve amaramente constatare che “un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”, e si ritira in punta di piedi da Nazareth senza farvi mai più ritorno.
Neppure ha ritenuto di forzare la mano facendo miracoli o segni straordinari, perché questi sono riservati a chi guarda verso Gesù con fede: “Lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità”.
2. Non è costui il falegname? Spesso non si guarda neppure al messaggio che viene trasmesso, ma si cercano debolezze nella vita passata di chi porta il messaggio, e a volte si chiamano in causa anche i familiari.
Certamente lo stile di vita è motivo di credibilità, ma la vita passata o i parenti non possono condizionare una persona per tutta la vita.
Scrive saggiamente San Paolo: “Io non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono” (1Cor 15,9).
3. Si meravigliava della loro incredulità. I commenti fatti nella sinagoga di Nazareth rispecchiano situazioni reali di tutti i tempi e riguardano anche la nostra epoca, la più parolaia di tutte.
Troppi parlano senza riuscire a dire nulla, e quelli che una volta erano classificati come ‘discorsi da bar’, oggi sono presentati come ‘pareri di esperti’ o come consigli profetici di persone che hanno studiato.
Sono troppi coloro che intervengono su argomenti che ignorano o che non li riguardano; così ad esempio chi non mette mai piede in chiesa si preoccupa se le chiese non sono piene, e chi è lontano dalla fede dà suggerimenti al papa e ai vescovi su come predicare il Vangelo.
Per quanto riguarda poi lo specifico della vita ecclesiale, sia i dossier e le inchieste, sia le percentuali e le statistiche, trattano la Chiesa come una agenzia d’affari e non colgono la natura della vita cristiana.

† Alberto