Francesco Petrarca e quell’amore per una donna forse vera forse sognata

Il 19 luglio di 650 anni fa moriva ad Arquà, nei Colli Euganei, il poeta nato ad Arezzo 70 anni prima. Suo il Canzoniere, splendido libro di poesie “in vita e in morte di Laura” suprema meraviglia della lirica d’amore

Laura e Petrarca: affresco nella casa del poeta ad Arquà Petrarca (PD) – da Wikipedia

Il 19 luglio 1374 ad Arquà si spense Francesco Petrarca dopo 70 anni di vita gloriosa quanto inquieta e quasi nomade. Era nato ad Arezzo nel 1304 da padre notaio fiorentino esule; fu alla corte di tanti potenti del suo tempo e, diversamente da Dante, non si sentì umiliato a dover da esule andar mendicando ospitalità; sentiva invece che portava onore e fama a chi lo accoglieva.
Fu a Carpentras, a Valchiusa presso Avignone dove dal 1305 al 1377 i papi furono “in cattività” prigionieri nel senso di essere di fatto sotto stretto controllo del re di Francia e qui fu l’incontro “fatale”, forse sognato, con Laura “dai capei d’oro all’aura sparsi”, l’amore di una vita.

Francesco Petrarca (1304 – 1374)

In amicizia coi Colonna potente famiglia di Roma, fu incoronato poeta in Campidoglio nel 1341: aveva avuto offerta della corona anche da Parigi ma scelse Roma per la centralità della cultura classica che, come primo umanista e filologo, si adoperò per imitarla in modo originale e per metterla in dialogo con la realtà storica del Trecento, Spirito inquieto e cosmopolita, viaggiò molto; soggiornò anche a Selvapiana presso Parma, a Verona, a Milano, a Napoli e ultimo soggiorno a Padova ospitato dal signore Francesco Carrara che gli donò una casa ad Arquà, paese oggi detto Arquà Petrarca.
Il Petrarca in vita aveva già grande fama per le opere in latino e per il Canzoniere, il più splendido libro di poesie “in vita e in morte di Laura”, da lui dette “nugae” cioè sciocchezzuole e che invece sono suprema meraviglia della lirica d’amore nella storia dell’umanità.
Fu presto ricco di fama anche a Pontremoli: Giovanni Sforza ed Emanuele Gerini scrivono infatti che un maestro “che reggeva scuole di grammatica nell’oppidum di Pontremoli” vecchio e cieco andò a Parma e potè conoscere il poeta quando era ospite di Azzo VIII da Correggio, meravigliò il bacio in fronte e la stretta di mano: l’episodio lo ricorda lo stesso Petrarca in una delle Epistole Senili (XVI, 7). Il poeta muore.

Francesco Petrarca

Proprio un lunigianese ci parla della morte del Petrarca: è Giovanni Manzini del borgo di Motta presso Fivizzano. In una lettera inviata al letterato bresciano Andriolo de Ochis datata 1 luglio 1388, il Manzini. “uomo di legge, di lettere e soldato” emigrato alla corte viscontea a Milano e a Pavia, si compiace che il suo amico. pur vecchio di 70 anni, fosse ancora “fiorente di fervido ingegno”, inesauribili il suo ardore e la passione per i libri.
L’epistola in latino è occasione per ricordare tanti grandi uomini da Omero in poi che “quanto più vicini alla morte tanto più si dedicano agli studi che procurano l’immortalità”. Unendo gli antichi ai moderni ricorda l’astro glorioso del nostro tempo, Francesco Petrarca poeta laureato, dopo tanti volumi di libri da lui compilati, a settant’anni chiuse il suo giorno estremo e fu trovato esanime su un libro, appartato nella sua biblioteca, simile a dormiente (cubanti similis, compertus exanimis super libro” .

Giorgio Vasari, “Sei poeti toscani” (1544)

Si ritiene che il libro su cui si appisolò morendo sia il Rerum vulgarium fragmenta, i 366 canti che chiamiamo il Canzoniere, il vero libro che dà gloria al Petrarca anche se lui, precursore, o meglio primo umanista, ambiva alla fama per le opere in latino (in particolare per il poema epico Africa) e per queste meritò la corona poetica.
La perfezione metrica, musicale dei versi del Canzoniere è stata modello per tutta la lirica italiana almeno fino al Leopardi che passò all’endecasillabo libero dalla metrica tradizionale, “dolce di Calliope labbro” è l’espressione del Foscolo per indicare il Petrarca. Per passare ai registri linguistici ampi e variati a seconda del personaggio su modello della Commedia di Dante bisogna arrivare a Eliot e a Montale in pieno Novecento.
L’Epistola di Giovanni Manzini con una versione della morte del Petrarca è tornata a circolare fuori da archivi e antiche biblioteche per l’edizione numerata in 250 copie in carta “Rusticus” inviata come augurio natalizio nel 1972 da Loris Jacopo Bononi. Sono fogli grandi (cm.50 x 34) con riproduzione a penna dell’ultima carta di un incunabolo stampato a Milano nel 1494 da Ulderico Scinzenzeler prototipografo che aveva come aiuto Sebastiano da Pontremoli.

Nato a Motta nel 1362 circa Giovanni Manzini
uomo di lettere fivizzanese

Giovanni Manzini era nato circa nel 1362 a Motta di Fivizzano. Fece i primi studi a Sarzana col maestro Ippolito da Parma che accese in lui l’interesse per la figura e l’opera del Petrarca, continuata negli anni di studio a Bologna. Qui trascurò gli studi giuridici perché era interessato a studi letterari.
Era anche soldato, combattè per Spinetta Malaspina marchese di Fosdinovo e partecipò alla battaglia di Gian Galeazzo Visconti alleato con Francesco da Carrara il Vecchio signore di Padova contro Antonio della Scala di Verona. Le sue gesta vittoriose Manzini le comunica all’ex-maestro Ippolito da Parma in una lettera che lo esorta a “seguire le Muse” come l’amato Petrarca.
Per avere incarichi servivano anche allora raccomandazioni; Spinetta presenta Manzini al cancelliere visconteo che sta a Pavia, viene assunto come segretario e maestro del figlio. L’ambiente è favorevole agli studi letterari.
Cura la sua passione per l’opera del Petrarca, fa postille alle Epistulae Familiares con in fondo il saluto all’Italia. Tra queste è quella a Andreolo con lode al Petrarca “vate preclarissimo” di bellezza e divina sapienza. Manzini ha lasciato due Zibaldoni con trascrizioni di classici, orazioni sacre, tra cui una Lode alla Madonna ristampata da Bononi.
Ha lasciato molte Epistole, provò a scrivere anche una Cronaca dei suoi tempi, una copia si trova nell’Archivio di Stato a Lucca. Viaggiò molto, fu a Firenze in relazione con l’umanista fiorentino Coluccio Salutati, a Perugia fu al servizio del condottiero Giorgio Michelotti che cacciò i Baglioni, arrivò a Lucca e poi a Pisa dove ebbe anche funzione di podestà, l’ultima notizia è in un atto rogato a Fivizzano del gennaio 1422, si presume questa la data e la terra dove morì.

Maria Luisa Simoncelli