Non t’importa che siamo perduti?

Domenica 23 giugno – XII del Tempo Ordinario
(Gb 38,1.8-11; 2Cor 5,14-17; Mc 4,35-41)

Molte volte i discepoli autentici si pongono il serio interrogativo di quanto siano in comunione con il Signore Gesù, e di fronte al senso di abbandono che presto o tardi si fa strada nel cuore di ciascuno, nasce spontanea la preghiera: Maestro, dove sei? Non ti importa se siamo perduti?
1. Gesù se ne stava a poppa e dormiva. Dopo una giornata di ministero, Gesù si addormenta nella barca. Il racconto non è solo una manifestazione di divina potenza o una bella esortazione per gli animi più timidi ad aver fede: è piuttosto lo specchio della situazione di chi si è imbarcato nella missione con Gesù e deve constatare che durante la tempesta Lui dorme.
L’evangelista Marco scrive per esortare alla fede una Chiesa perseguitata e impaurita: forse quella Chiesa faceva l’esperienza che per passare all’altra riva, per andare verso i pagani, doveva abbandonare le acque calme della tradizione giudaica. Per svolgere la missione bisogna buttarsi, non con progetti e piani pastorali che sono frutto di calcoli umani, ma ricorrendo alla forza di colui al quale il mare e il vento obbediscono, e che è sempre presente, è sempre lì nella barca, anche quando sembra dormire.
2. Non avete ancora fede? Nel nostro tempo, come tante altre volte nella storia, Dio sembra sparire dall’orizzonte e la fede sembra spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento. Con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, con effetti distruttivi sempre più vasti.
L’impegno del discepolo dunque è quello di sentire la presenza di Dio in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non ad un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio che riconosciamo in Gesù Cristo crocifisso e risorto.
3. Chi è costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono? Per avvertire la presenza di Gesù bisogna guardare a Lui con gli occhi della fede, non alla maniera umana. Gli apostoli avevano conosciuto Gesù alla maniera umana, ma anche per loro questo non era più sufficiente: “Anche se abbiamo conosciuto Cristo alla maniera umana, ora non lo conosciamo più così” (2Cor 5,16).
Il ricorso alla mediazione sacerdotale di Cristo è la prima condizione per avanzare verso Dio. Ciò che fonda l’appello alla fede è l’efficacia unica del sacrificio e del sacerdozio di Cristo che introducono realmente gli uomini nella comunione con Dio.
Facendo aderire l’uomo a Cristo mediatore, la fede apre la sola possibilità autentica di trasformare l’esistenza con una luce soprannaturale. Lo sforzo dell’uomo peccatore non può servire di base alla salvezza, perché proviene da una sorgente corrotta.
Bisogna prima che l’uomo sia trasformato, che la sua coscienza sia “purificata dalle opere morte” (Eb 9,14), e ciò si ottiene con la mediazione di Cristo sacerdote.

† Alberto