Nel 1984 il “giubileo internazionale” dei giovani aprì  la strada alle GMG

Quarant’anni fa l’iniziativa di Papa Wojtyla diede il via al percorso che avrebbe portato alle Giornate Mondiali della Gioventù del presente
Per i giovani di ogni epoca, è necessario conoscere quale sia il posto che occupano “nell’ora” del loro tempo presente

Papa Giovanni Paolo II (1920 – 2005)

Quarant’anni fa, mentre stava per concludersi l’Anno Santo della Redenzione – indetto da San Giovanni Paolo II per celebrare il 1950° anno dalla morte e Risurrezione di Gesù – il Papa volle dedicare ai giovani un “giubileo internazionale”.
L’iniziativa fu vissuta nella settimana precedente la Domenica delle Palme del 1984 e sarebbe servita ad aprire la strada al progetto delle famose GMG (giornate mondiali della gioventù) che da allora si svolgono in tutto il mondo, con cadenza di circa due anni. L’intento del Papa di incontrare i giovani ebbe da subito un eco notevole.
Già nello stesso primo incontro infatti si radunarono, nella città di Roma e in Vaticano, ben trecentomila ragazzi. Rileggendo ciò che il Papa disse ai giovani di allora, giunti da ogni parte del mondo, si può scorgere una sorta di suo “testamento spirituale” alla gioventù e una voce concreta che può essere indirizzata ai ragazzi di ogni epoca.
Anzitutto Papa Wojtyla riconobbe che il problema reale è comprendere quale sia il posto della gioventù nel mondo. I giovani – affermava San Giovanni Paolo II – hanno un posto “riservato” già dal ricambio generazionale perché un giorno saranno loro ad essere al “posto” degli adulti e degli anziani.
Ovviamente tutto è soggetto al cambiamento dei tempi, in un avvenire che lo sviluppo tecnologico e la legislazione sociale rendono più vicino di quanto non si creda. I ragazzi dovranno sentirsi chiamati a costruire il loro avvenire assumendo l’eredità delle “generazioni precedenti”.

Giovani a Lisbona, diretti alla veglia di preghiera con il Papa (Foto Siciliani – Gennari/SIR)

Generazioni non qualsiasi ma quelle che hanno trasmesso loro “il dono della vita”, con valori ed ideali. Ma prima di tutto questo, per i giovani di ogni epoca, è necessario conoscere quale sia il posto che occupano “nell’ora” del loro tempo presente. Ogni giovane infatti, anche se può sentirsi minacciato da una società “non scelta”, deve ugualmente prenderne parte e assumersi le proprie responsabilità.
Il Papa definiva come “minaccia” dell’uomo moderno la tentazione di considerare ogni cosa come un oggetto “manipolabile”. Questo inevitabilmente porta a mettere tra gli “oggetti manipolabili” anche l’uomo stesso.
Per superare quelle che possono sembrare “situazioni insoddisfacenti” bisogna allora ricorrere alla forza della fede e del proprio “dinamismo”.
San Giovanni Paolo II spronava a mantenere aperto “il dialogo con gli adulti”. Un “discorso” da affrontare con franchezza e per poter avere vantaggio da ciò che gli adulti offrono, senza negare i loro meriti e cercando di poter essere al loro fianco “nel superare le perduranti ingiustizie”.
Il progresso di un’epoca deve essere “di tutti e per tutti” e deve portare a un mondo che si riconosca non nella causa della guerra ma soprattutto nella strada per la pace. In questo percorso chiunque deve sentirsi coinvolto perché, anche chi si sente più emarginato, deve offrire la forza della propria “speranza giovanile”.
In questo senso si può comprendere come, nel rapporto tra diverse generazioni, si scopre che accanto ai doveri dei giovani si trovano anche quelli degli adulti.
Ancora il Papa, sempre nello stesso incontro di quarant’anni fa, dichiarava come i giovani possono rivestire una “funzione profetica”. Una modalità utile a denunciare i mali del tempo e ad apprezzare la vita.
Riferendosi poi in modo particolare al problema dell’aborto e dell’eutanasia, San Giovanni Paolo II, invogliava a superare una “cultura di morte” perché ognuno di noi è “tempio dello Spirito Santo”. Ma invitava anche ogni giovane ad impegnarsi “in prima persona”, con le proprie forze e con quelle di tutte le persone di buona volontà per costruire un mondo a misura “di uomo” e di “figli di Dio”.

Gruppo di giovani alla Giornata Mondiale che si è svolta a Varsavia nel 2016

Per raggiungere questo un giovane cristiano deve saper rispondere alla chiamata di Dio stesso che diventa via per scoprire che la giovinezza vera è quella che può donare solo Dio. Ma ciò che premeva al Papa e che deve premere a noi, giovani di oggi, è comprendere chi sia Cristo “per noi”. Una domanda che già Gesù stesso poneva ai suoi Apostoli.
Non quanto dicono gli altri o quanto si sente dire, ma “noi” chi crediamo che sia il “Figlio dell’uomo”? La risposta si può trovare nell’esperienza personale e nel cuore di ognuno. La risposta può essere data soltanto con le proprie forze e con la propria ragione che non deve mai rischiare di superare l’essenzialità di credere in Cristo “uomo e Dio, morto e risorto”.
La logica del “si è sempre fatto così” non deve dunque superare le aspettative dei giovani perché il rischio è che la trasmissione della cultura e il tramandare delle tradizioni vadano a superare il significato del senso autentico di quella che fu la risposta dei discepoli a Gesù e che deve essere la nostra: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”.
Una risposta che si rivela autentica soltanto se corrisponde ad una scelta coerente col proprio percorso di vita.

Fabio Venturini