Quando il vescovo ausiliario di Sarajevo fece tappa nella nostra Diocesi
Il monumento che ricorda la strage del 1994 al mercato di Sarajevo (foto da Wikipedia / Adam Jones)

La strage del mercato di Sarajevo di trent’anni fa destò commozione anche nel nostro territorio. Proprio nel pomeriggio di sabato 5 febbraio 1994 i gruppi di Azione Cattolica dei Ragazzi (Acr) della Diocesi di Massa Carrara-Pontremoli sarebbero stati presenti nelle piazze dei principali centri della provincia per invitare la cittadinanza a firmare le cartoline che sarebbero state inviate al Comitato per il Nobel per candidare al premio Nobel per la pace i bambini di Sarajevo.
Una iniziativa dell’Acr nazionale (alla fine della campagna furono spedite 135 mila cartoline) che in quei mesi aveva stretto forti legami di solidarietà con la chiesa cattolica bosniaca.
Chi scrive era presente come giovane educatore allo stand dell’Acr in piazza della Repubblica a Pontremoli e ricorda i sentimenti di mestizia e sgomento espressi dalle tante persone, un numero inaspettatamente alto, che si avvicinavano a firmare dopo avere appreso la notizia della strage dai telegiornali del primo pomeriggio.
Ma il legame tra la Chiesa apuana e quella bosniaca andò oltre. Due anni dopo, il 23 gennaio 1996, fece tappa in Diocesi monsignor Pero Sudar, vescovo ausiliario dell’arcidiocesi di Sarajevo, allora come oggi considerato una delle personalità più importanti nella lenta e problematica ricostruzione civile e morale nel dopoguerra della ex Jugoslavia.
Monsignor Sudar, su iniziativa dell’Azione Cattolica, prima di partecipare ad una veglia di preghiera in cattedrale a Massa, prese parte al Teatro Manzoni di Pontremoli ad un partecipato incontro pubblico moderato dall’allora direttore del Corriere Apuano, Giulio Armanini.
Il presule stava promuovendo, già nelle ultime settimane prima della fine dell’assedio, le scuole interetniche, con le quali la chiesa cattolica bosniaca mirava a formare, partendo dai più piccoli, una nuova generazione di cittadini capaci di convivere nelle diversità etniche e religiose e nonostante la sanguinosa guerra di quei quattro anni.
Quella del vescovo non fu solo una campagna di raccolta fondi – finanziata anche dalle vendite delle stampe su un quadro del pittore Tiziano Triani – ma una testimonianza sulla storia della martoriata Jugoslavia.
Cattolico di etnia croata, Sudar raccontò della sua provenienza da un villaggio dove la convivenza con i musulmani proseguì per secoli, ma anche dell’ateismo di Stato nell’era di Tito e della penetrazione forzata della cultura serba durante il regime comunista come elemento uniformante che mirava a espellere le altre culture della Federazione.
Gli accordi di Dayton erano per monsignor Sudar una “cornice storta” entro cui lavorare per costruire un “quadro dritto”, quello di un ritorno alla convivenza interetnica tra loro al posto della Bosnia di tre entità etniche separate, voluta dagli accordi di pace.
La Chiesa cattolica di Bosnia, concludeva il vescovo, si era opposta alla divisione durante la guerra e avrebbe lavorato per la tolleranza nella fase successiva. Ma i legami tra Sarajevo e la Chiesa apuana proseguirono anche negli anni successivi.
Nelle estati del 1997 e del 1998 fu ospite dei giovani di Azione Cattolica il coro della Cattedrale di Sarajevo, che in Italia proseguiva il lavoro di testimonianza degli orrori della guerra e di aiuto alle scuole interetniche iniziato da monsignor Sudar.
I giovani coristi offrirono concerti di musiche liturgiche e profane in Duomo a Pontremoli, a San Francesco di Villafranca, a Carrara e a Massa.

(d.t.)