
Il 21 giugno 2013 gli effetti del sisma portarono alla chiusura di molti ediffici di culto in Lunigiana. Questo è l’intervento dell’arch. Stefano Calabretta, tra i protagonisti dell’emergenza e della ricostruzione

Sono trascorsi cento anni dal sisma del 1920, ma solo dieci anni dall’evento sismico del 21 giugno 2013, quando un nuovo terremoto, colpì ancora l’ambito Lunigiana-Garfagnana, secondo una modalità ormai connaturata al vivere in questa terra, martoriata da simili eventi. In questo articolo riporto il ricordo di quell’evento, osservato dal particolare punto dell’architettura ecclesiastica, che, assieme ad un gruppo di amici, cercammo di proteggere, e poi, in buona parte, riparammo con progetti ed interventi sostenuti dalla C.E.I., restituendola alla fruizione delle Comunità.
In quei giorni avevo consegnato il progetto di restauro della facciata di S. Margherita Vecchia, così detta dopo la costruzione, in località Villa di Regnano, della nuova chiesa, proprio a seguito della totale distruzione della vecchissima chiesa di Regnano Castello. La Soprintendenza aveva imposto lavori di messa in sicurezza della facciata probabilmente riferibile all’alto medioevo; già Augusto Cesare Ambrosi aveva documentato le sue antichissime origini, ipotizzando una fase iniziale con struttura a due navate. L’incarico di occuparmi di questo delicato intervento, che prevedeva lo smontaggio quasi integrale della facciata ed il successivo rimontaggio, giunse da don Luca Franceschini, che da poco era a capo dell’Ufficio Beni Culturali della Diocesi di Massa Carrara – Pontremoli.

Poco dopo la consegna del progetto, la facciata, colpita dal sisma, crollò del tutto. Con don Franceschini, percepita la gravità della situazione, effettuammo un sopralluogo. A Regnano la situazione apparve subito gravissima: la facciata della chiesa era un cumulo di pietre; tra queste le importanti bozze lavorate ad archetti. Con i Carabinieri della Stazione di Casola, organizzammo il trasporto in luogo sicuro delle pietre, stante il concreto rischio di sparizione; i pezzi vennero portati alla canonica di Codiponte che, grazie alla sua poderosa massa, non aveva subito, nelle parti basse, danni e si decise di adibirla a luogo ove ricoverare i pezzi di pregio.
La Pieve adiacente aveva reagito molto bene al sisma, grazie alla sua struttura romanica conservata, alla contenuta altezza, il tetto in legno, ma soprattutto, grazie all’intervento di restauro e consolidamento attuato negli anni ’80 del secolo scorso. Diversa la situazione nei piani più alti della canonica dove si manifestava la gravità della situazione.
Proseguimmo poi per la Pieve di San Pietro, ad Offiano, dove la violenza del sisma ci si manifestò, oltre che con il terribile quadro fessurativo evidentissimo, con la presenza al centro della navata del grande lampadario della navata centrale ora a terra fracassato; le suore di clausura stavano tentando di raddrizzare le statue in marmo dei due angeli cadute, una, purtroppo, gravemente danneggiata.
Da lì ci dirigemmo a Casola. Nella chiesa di S. Felicita trovammo don Luca Franceschini e il Vescovo Giovanni Santucci: i danni erano terribili. Il sisma aveva provocato una serie di lesioni verticali, che si dipartivano dalle volte, in prossimità dei pilastri, spaccando le cornici sotto le volte, le stature erano mosse, cadute o ruotate rispetto alla posizione originale. Il ricoperto dei calcinacci e dei pezzi di vetro dei lampadari, anch’essi scossi, agitati dal furore del sisma. Ci spostammo poi a Casciana Petrosa, dove la chiesa di S. Maria Assunta mostrava danni gravissimi.

I sopralluoghi, quel giorno, finirono in serata; era chiaro che si dovevano mettere in campo nuove forze con una organizzazione puntigliosa. Nei giorni successivi chiamai tutti i tecnici che lavoravano, in Lunigiana, per la Diocesi e quasi tutti aderirono al gruppo. Oltre a me, parteciparono l’arch. Anna Della Tommasina, l’arch. Mauro Lombardi, l’arch. Manuela Del Monte, l’ing. Claudia Bedini, Gianfranco De Simone e Stefano Salesi e ci organizzammo così da coprire più territorio possibile. Un primo elenco di edifici via via, andava infittendosi; l’area era quella colpita dal sisma, i Comuni di Fosdinovo, Casola, Comano, Fivizzano, Villafranca e Licciana Nardi. L’elenco degli edifici ispezionati e tenuti d’occhio per l’intero periodo dello “sciame sismico”, durato oltre un anno, arrivò a 108! Su questi, era necessario effettuare una verifica di stabilità strutturale e di sicurezza per l’accesso, ed emettere una perizia – da consegnare all’Unità di Crisi organizzata dalla protezione Civile a Fivizzano – con assunzione di responsabilità, per il corretto uso, con prescrizioni o meno.
Singolare fu quanto avvenne in occasione di uno degli accessi all’Unità di Crisi: mentre esponevo al Tecnico dei Vigili del Fuoco la serie di perizie che autorizzavano l’uso totale o condizionato, di alcune delle chiese, la discussione fu interrotta da una forte scossa che ci bloccò; al termine della stessa, consci che era ben oltre il limite, raccolsi il materiale tecnico che stavo discutendo e che era stato reso nullo dalla scossa appena avvertita.
Vennero impartite precise indicazioni, prima tra tutte l’impossibilità di utilizzare la campane. Questo causò molto disagio tra le Comunità: il rintocco delle campane era un segnale che scandiva il tempo, la giornata, da tempo immemore e quell’improvviso silenzio, causò disagio, trasmettendo la netta sensazione che “qualcosa non andava”, che la vita non scorreva naturalmente, ma era condizionata, ancora, da quella presenza silente, eppure terribile. Avevamo la consapevolezza di quanto stavamo vivendo: un momento drammatico, che in qualche modo ci saremmo portati dentro.
Parallelamente all’attività di monitoraggio, emergeva la necessità di attuare interventi d’emergenza, finalizzati a rendere sicure alcune strutture particolarmente colpite.

Nell’Oratorio di Ugliancaldo lo sciame sismico evidenziò il progressivo peggioramento della piccola e fragile struttura. Chiedemmo aiuto all’Impresa “La Volta” di Roberto Benettini, che lavorava con le parrocchie lunigianesi, fissammo alcuni interventi di emergenza attraverso l’uso di cinghie in fibre al carbonio, ad altissima resistenza, studiando interventi già attuati in altre zone sul patrimonio storico artistico, perché totalmente reversibili.
Attuammo lo stesso intervento all’Oratorio della Torretta a Fosdinovo e al piccolo pulpito della chiesa di San Giovanni Evangelista a Pulica.
Queste continue visite nei paesi di quella parte di Lunigiana ci misero in contatto con realtà meno note, e aspetti di grande interesse: rimasi colpito dalla qualità artistica di un altare proprio nella parrocchiale di Pulica, per non parlare della struttura architettonica e dello straordinario valore paesaggistico della chiesa di San Prospero a Monzone Alto. A Varano rimasi annichilito dalla chiesa di San Nicola di Bari, anch’essa drammaticamente colpita: qui le lesioni sottolineavano, alla perfezione, gli interventi di ampliamento dell’antica cappella medievale.
Ancora terribili gli effetti sulla chiesa di San Martino, a Luscignano, duramente colpita nel 1920 con il crollo della cupola che rendeva l’edificio un piccolo scrigno a pianta centrale, evidente manifestazione di una non comune ricchezza economica: la facciata, in forme barocche, cita apertamente l’architettura della Roma di Bernini e Borromini, con le sue forme, costrette nel ristretto spazio di un sagrato di pochi metri. Altro esempio, tra i molti, fu la scoperta di Argigliano, nella cui chiesa ci trovammo quando arrivò la seconda, fortissima scossa, di poco successiva a quella del 21 giugno; uscimmo spaventati, ma la chiesa mostrava ancora l’orgoglio e lo sforzo economico di una Comunità che si volle dare un tempio di straordinarie dimensioni, oggi, in apparenza, ingiustificato dalla modesta residenzialità del paese.
Il 23 dicembre 2013 con il soprintendente dott. Giuseppe Stolfi concordammo l’avvio della richiesta di fondi per il restauro delle chiese colpite dal sisma: l’ammontare stimato del danno subito era pari a circa 6 milioni di euro.
Stefano Calabretta
La lunga stagione dei lavori
La necessità di attuare gli interventi di recupero del patrimonio colpito, per noi, sul campo, era registrabile anche attraverso un diffuso malessere, legato all’impossibilità di frequentare la chiesa, assistere alle funzioni, anche se i parroci, intanto, avevano dato prova di immediata capacità di reazione, tenendo i propri riti ove si poteva.

Con l’avvicinarsi della necessità di produrre le progettazioni, sentii il bisogno di allargare il quadro delle competenze. Mi rivolsi così alla prof.ssa Anna De Falco dell’Università di Pisa (DESTeC): con il suo Dipartimento, nel febbraio 2015, il Vescovo Santucci e il Direttore del DESTeC, prof. Marco Raugi sottoscrissero una Convenzione. Quando poi affrontammo l’intervento su Santa Felicita a Casola, avemmo a fianco il prof. Claudio Modena, dell’Università di Padova, tra le altre cose membro della commissione nazionale per la previsione e prevenzione di grandi rischi.
Nel 2014, si cominciarono ad avviare i primi lavori, partendo da quelli che avevano causato transennamenti di spazi pubblici e finanziati dalla Protezione Civile; il caso più grave era quello della canonica di Casola Lunigiana.
Parallelamente si attuò l’intervento alla facciata esterna della chiesa di San Martino a Luscignano, dove il distacco di parti del paramento murario aveva imposto analoghi provvedimenti. Infine, in questa ristretta serie di opere, si attuò il complesso intervento sulla chiesa di S. Maria Assunta a Casciana Petrosa, al termine del quale la famiglia allontanata dalla propria abitazione, poté riprendere possesso della stessa. Ben presto si affrontò la ricostruzione della facciata dell’antica chiesa di Santa Margherita a Regnano Castello; un intervento molto delicato, in quanto si trattava di ricostruire la facciata, inserendo le pietre antiche messe al sicuro nella canonica di Codiponte.
Ma gli interventi più impegnativi furono avviati nella fase successiva; in questa si mise mano alle pievi di Offiano, di Viano e di Monti di Licciana; alle chiese di Varano, Monzone, Pulica, nonché a chiese e canoniche di Mommio e di Codiponte.
Un intervento molto importante fu quello alla chiesa di Argigliano; l’edificio, imponente, con un’altezza vertiginosa e resa ancora più significativa dall’alto podio sul quale giace, aveva il grave problema dello scollamento della pesantissima volta, costruita in epoca barocca, rispetto alla facciata.
A distanza di dieci anni da quel grave evento rifletto su quanto abbiamo fatto, ripensando alla lunga stagione di analisi e di valutazioni tecniche, di lavoro svolto a fianco delle Istituzioni e delle Università, pensando alla grandissima fiducia e stima che la Diocesi mi accordò, e tenendo presente che, da poche settimane è stato avviato l’intervento sulla chiesa di San Martino a Luscignano, ultima chiesa della serie, ancora chiusa alla devozione ed al culto dei parrocchiani. Il lavoro fatto dal gruppo fu una prova di amore per la Lunigiana, prima di tutto, svolto anche nella speranza di offrire a questa martoriata terra, così duramente e ciclicamente colpita dagli eventi sismici, un piccolo contributo, in termini di organizzazione, dato che consegnai alla Diocesi quell’imponente documentazione, sperando che, nel malaugurato, ma oggettivamente presente, pericolo che il fenomeno si ripresenti, quel lavoro di organizzazione possa essere già pronto.
(S. C.)