

Un anno fa, il 25 settembre 2022, i risultati delle elezioni politiche assegnavano il governo del Paese ai partiti di centro-destra, con la netta prevalenza di Fratelli d’Italia, e Giorgia Meloni, si avviava a diventare la prima donna presidente del Consiglio nella breve storia della nostra Repubblica. Il passaggio ufficiale avvenne il 22 ottobre. Pur nell’impossibilità di festeggiare con cerimonie ufficiali (rimandate all’anniversario dell’insediamento del governo), a seguito della morte e dei funerali del presidente emerito Giorgio Napolitano, in questi giorni la leader di FdI ha presentato più volte e con diverse modalità il bilancio dei risultati fin qui raggiunti dall’esecutivo. Prima di tutto ha sottolineato il fatto di aver mantenuto la promessa “di consegnare un’Italia migliore di come l’avevo ricevuta… oggi la nostra Nazione è più credibile, stabile e ascoltata”.
Nella sua lettura di questi 11 mesi, il primo posto è assegnato ai successi in politica estera, poi l’Italia che cresce più della media europea, il record del numero degli occupati e dei contratti stabili, gli aiuti alle famiglie e alle imprese, i provvedimenti in materia di sicurezza e legalità. Il tutto riassumibile nella soddisfazione per essere stata coerente con le sue idee e per aver avviato l’attuazione del programma del suo partito. Non è di certo una novità che un governante si mostri generoso nei propri confronti promuovendosi a pieni voti.; altrettanto normale è che i commentatori, così come i partiti di opposizione, vadano a fare un po’ di chiarezza in quelle dichiarazioni. In realtà, pur volendo riconoscere il merito della coerenza e di una certa tenuta su alcuni temi, non sono pochi gli stalli o i rallentamenti che, per il momento, Giorgia Meloni non ha saputo rimuovere dalla rotta dal suo governo. Nell’impossibilità di un esame dettagliato, bastino alcune sottolineature. Gli scogli più impegnativi sono quelli legati all’ideologia che caratterizza la destra estrema. Nonostante i tanti viaggi e incontri, poco o niente ha ottenuto sulla revisione delle modalità di trattamento degli immigrati. Si continua a presentare il problema come una urgenza quando non lo è, avendo ormai raggiunto il carattere endemico. Lo abbiamo scritto tante volte: non può essere affrontato come un problema di ordine pubblico; la soluzione va cercata in forme di accoglienza che mirino all’integrazione, lasciando stare i deliri sulla sostituzione etnica. Allo stesso modo, non ci può essere solo la repressione nei confronti del disagio sociale. lo Stato deve contrastare i fatti delittuosi ma sul lungo periodo sono la prevenzione e la formazione educativa a dover prevalere.
Un altro ostacolo è rappresentato da quelle riforme che il Paese attende da decenni, alcune delle quali sono (o avrebbero dovuto essere) poste come premessa all’avvio del Pnrr. Tra tutte, la sola riforma della giustizia (anch’essa considerata come una bandiera ideologica) ha fatto qualche passo ma sollevando perplessità e obiezioni che l’hanno fatta riporre nel dimenticatoio. A tutto ciò si aggiungono le difficoltà legate al reperimento delle risorse per far sì che la manovra economica per il 2024 non sia un contenitore vuoto. Nonostante queste ed altre perplessità, siamo tutti obbligati a far tifo, se non per il governo, almeno per l’Italia, senza paura di dover poi riconoscere meriti per interventi che farebbero il bene di tutti.
Antonio Ricci