Il mare tra vacanze e tragedie

Mentre tutta Italia sta pensando al mare come luogo di vacanza (meritata, dopo mesi segnati da impegni e rispetto degli orari), per tanti – troppi si può dire – il mare, nello specifico la parte sud del Mediterraneo, ancora e in particolare in questi giorni è fonte di preoccupazione e paura. Per pochi – ma stride questo vocabolo – di morte, intervenuta ad interrompere il miraggio delle varie terre promesse rappresentate dalle coste, soprattutto, italiane.
Le statistiche riferiscono di più di 100mila sbarchi nei primi 8 mesi di quest’anno. Nei giorni scorsi, in 36 ore, più di 2.000 persone sono sbarcate a Lampedusa, dove il centro di raccolta – hotspot – si trova periodicamente in situazione di emergenza perché predisposto per ospitare meno di 500 migranti.
Ma le cifre più raccapriccianti sono quelle delle vittime. È continuo lo stillicidio di due o tre morti per ogni viaggio, poi giungono notizie di vere e proprie stragi. Sabato scorso le autorità tunisine hanno riferito di 23 morti e 44 dispersi al largo di Sfax, nel Canale di Sicilia, a fronte di 57 salvati.
Tutti messi su barchini inadatti a navigare sul mare in tempesta, tanto che non hanno potuto nemmeno avvicinarsi alle coste italiane. Non è questione di ideologia ma solo di umanità.

Strage di migranti sulla spiaggia di Cutro (KR) – foto Ansa/Sir

Se non si è nella possibilità di gestire questo vero e proprio traffico umano – le cifre parlano da sole riguardo all’efficacia dei tanto sbandierati accordi con i Paesi di imbarco – allora si deve mettere in piedi un sistema capace di soccorrere, accogliere e accompagnare alle destinazioni desiderate queste che si trovano ad essere vittime prima dell’imbarco, durante il viaggio in mare e, ancora, al loro approdo sulla terra ferma. Ripetiamo: non è una questione ideologica.
Ci sono le fredde cifre ufficiali del Viminale: nell’anno in corso, al 7 agosto, gli arrivi sono stati circa 90mila, il doppio del 2022; di questi, ben 10mila sono i minori non accompagnati.
L’hotspot di Lampedusa è costantemente sotto pressione, alleggerita solo attraverso trasferimenti verso altri porti sotto la direzione della Croce Rossa. Come si fa, allora, a dare come unica risposta: “Vanno espulsi. Non lo penso io, lo dice la legge”, come dichiara il ministro Piantedosi? Invece di aprire continui conflitti con le Ong, che con le loro navi intervengono proprio per evitare le morti in mare, sarebbe bene creare un fronte compatto che, sulla base di regole ben chiare, possa dare origine a interventi di soccorso organizzati e non gestiti sempre in emergenza.
Lo dice la coscienza di ognuno, lo dice, inascoltato, il Papa: “La morte di innocenti, principalmente bambini, in cerca di una esistenza più serena, lontano da guerre e violenze, è un grido doloroso e assordante che non può lasciarci indifferenti. È la vergogna di una società che non sa più piangere e compatire l’altro”.

Antonio Ricci