Campane di fusione lucchese in Lunigiana. Una scoperta recente: Aiola

L’incendio del 1909 nella chiesa del piccolo paese nella valle del Lucido distrusse anche i bronzi. Ma pochi mesi dopo a Lucca venne fuso il nuovo concerto.

Le campane nella cella campanaria di Aiola

Quando ero bambino, tra i racconti dei nonni a noi nipoti, uno di essi ricordava l’incendio della chiesa di Aiola, il paese natale della mia nonna materna. L’evento, per noi piccoli, si perdeva quasi nella notte dei tempi perché accaduto prima della nascita della nonna stessa, alla quale era stato a sua volta riferito dai bisnonni.
La storia, oltre a parlare della devastazione subita da arredi e addobbi sacri, non entrava in dettaglio su quanto occorso fra quelle mura parecchi decenni prima.
Anni fa, ecco che nuove tessere della vicenda si composero casualmente mentre ero alla ricerca di tutt’altro.
Nel 2007, infatti, consultando l’archivio parrocchiale per ricostruire l’albero genealogico di quel ramo della mia famiglia, annotai che un fratello del mio bisnonno si era sposato il 22 settembre, per S. Maurizio, nel 1909.
Nel 2009, poi, mentre scorrevo le pagine delle prime annate del Corriere Apuano alla ricerca di notizie su eventi meteorologici, mi ero imbattuto in un articolo che riferiva dell’incendio della chiesa di Aiola, occorso cento anni prima, la notte fra il 22 e il 23 settembre 1909, successiva alla festa del patrono!
Il trafiletto, comparso sul n° 40 del C.A. del 2 ottobre 1909, descriveva la rovina prodotta dalle fiamme alla chiesa del piccolo villaggio della valle del Lucido e la costernazione dei poveri aiolesi.
Avevo scovato la data dell’incendio, ma non approfondii il resto della storia. Solo di recente, ascoltando il timbro di campane della Garfagnana e della Lucchesia, mi è tornato alla mente l’eco di quelle distese e melodie udite da bambino e da ragazzo. Di recente, la decisione di saperne di più sul patrimonio campanario lunigianese mi ha messo di fronte una realtà variegata e di indubbio interesse quanto ai sistemi di suono.

Le campane lucchesi in Lunigiana

Dalle prime indagini effettuate e da segnalazioni dei frequentatori del canale Youtube Chicco Qwer – @campane_lunigiana, pare che altre campane provenienti da fonderie lucchesi si trovino sui campanili di Canneto, Cotto, Groppoli e Ugliancaldo, ma non si esclude che ve ne siano altre nelle convalli della Lunigiana orientale.
In generale, le campane che abitano i campanili della nostra terra provengono da fonderie non toscane: la stragrande maggioranza sono opera di Capanni (Castelnovo ne’ Monti, RE), poche altre di Trebino (Uscio, GE) e di Picasso (Avegno, GE), ma non mancano bronzi fusi in Lombardia da Allanconi (Ripalta Cremasca, CR), in Piemonte da Mazzola (Valduggia, VC) e persino in Veneto da Colbachini (Padova) o da De Poli a Vittorio Veneto (TV).

La nostra terra, sul confine di tre regioni, non poteva anche in questo campo non riservare alcune peculiarità. E così ecco che campane all’ambrosiana e campane a slancio, ma pure suoni della tradizione ligure, convivono nello spazio di un bacino, per estensione, davvero ristretto.
Le campane di Aiola non solo non erano all’ambrosiana, ma il loro timbro non era neppure simile a quello della quasi totalità dei bronzi locali. La decisione di risolvere anche quest’ultimo aspetto rimasto oscuro mi ha condotto al paese avito e grande è stata la sorpresa nell’apprendere che le campane erano state elettrificate già diversi anni fa! Così, dopo aver esposto i motivi della mia indagine al parroco, don Guido Ceci, sono salito sul campanile.
Prima di salire, ho appreso che la campana mezzana, venatasi circa trent’anni fa, era stata rifusa dalla fonderia Capanni di Castelnovo ne’ Monti (RE), ditta che aveva pure effettuato l’automazione elettrica delle campane.
Raggiunta la cella campanaria, ho constatato che la piccola e la grossa conservano il loro colore verde scuro ultrasecolare, mentre la mezzana è di colore grigio e reca la sola scritta della rifusione ad opera di Capanni nel 1996.

Nel centro di Aiola la stretta via interna che conduce alla chiesa

Anche l’incastellatura è stata rinnovata, così come i ceppi, in modo da permettere il suono direttamente dal computer sito in sacrestia. Le scritte sulle campane riportano l’anno di fusione, il 1910, ma pure il nome del parroco e il nome del papa dell’epoca, Pio X.
A quel punto, non mi è rimasto che tornare a scartabellare le pagine del Corriere Apuano di fine 1909 e del 1910, ed ecco finalmente il resto della storia!
Sul n° 3 del 15 gennaio 1910, venne dato conto dell’incessante opera del parroco, don Aristide Gaspari, che si era rivolto a voce e per iscritto a privati e ad autorità locali e nazionali affinché intervenissero in aiuto di quella piccola comunità. Lo zelante rettore inoltrò una supplica persino al pontefice, che accolse la richiesta con benignità inviando una generosa offerta di mille lire dell’epoca.
A questi denari, si aggiunsero le somme venute dal Comune di Fivizzano, dal Regio Economato Generale, quelle raccolte dalla popolazione e anche tramite altre offerte private. Pertanto, fu con un’apertura entusiastica e compiaciuta (“Incredibile se non fosse vero!”) che il Corriere Apuano, sul n° 8 del 19 febbraio 1910, diede annuncio che, a meno di cinque mesi dall’incendio, “Aiola… l’altro giorno, faceva echeggiare l’aria coi dolci e giulivi squilli delle nuove tre sue campane, fatte venire dalla rinomata fonderia del Sig. Magni di Lucca”.
Nei brevi resoconti, tanto familiari che riportati dalla stampa dell’epoca, non si faceva cenno ai danni subiti dalle campane, ma il tremendo calore delle fiamme doveva essersi propagato senza dubbio fino alla cella campanaria, che si eleva di pochi metri dietro l’abside della chiesa essendo il campanile di Aiola tutt’altro che svettante.
L’instancabile pastore e i parrocchiani, tramite il loro sacrificio, la generosità e la sensibilità di enti e privati e la benevolenza del Santo Padre, riuscirono, nel giro di pochi mesi, a riparare la casa del Signore senza trascurare la voce argentina dei sacri bronzi, di nuovo e meglio di prima intesa a lodare Dio in un perfetto accordo musicale.

Maurizio Ratti