Sviluppo e migrazioni: solo il rispetto dei diritti umani può dare speranza ai profughi

“Processo di Roma”: il comunicato finale della Conferenza internazionale

Sessione di apertura della Conferenza internazionale al Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale (Foto Presidenza del Consiglio dei Ministri)

Si è svolta domenica scorsa, a Roma, la Conferenza internazionale su sviluppo e migrazioni per iniziativa della premier Giorgia Meloni e del presidente della Repubblica tunisina, Kais Saied, con la regia del ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani.
È stato dichiarato che, in tal modo, l’Africa è stata riportata al centro dell’attenzione internazionale; in realtà è stata l’Africa – con le sue crisi climatiche, con la sua fame, con le sue guerre, con i suoi profughi – a costringere soprattutto l’Europa a fare i conti anche col suo passato.
Seduti intorno al tavolo vi erano i leader di quasi tutti gli Stati della sponda sud del Mediterraneo, del Medio Oriente, del Golfo, gli Stati Ue di primo approdo e alcuni partner del Sahel e del Corno d’Africa, i vertici delle Istituzioni europee e delle Istituzioni finanziarie internazionali.

Campo profughi nei pressi di Goma, nella Repubblica del Congo (Foto: Unhcr)

Il tutto si è concluso con un comunicato finale definito “Processo di Roma”. Una “piattaforma strategica, globale, inclusiva e pluriennale” per “rinnovare l’impegno comune ad affrontare i fattori politici, socioeconomici e climatici della migrazione… promuovere percorsi legali e sicuri… e contrastare più efficacemente la tratta di esseri umani e il traffico di migranti”.
Un Processo che “si fonda sulla comprensione comune che è necessaria una risposta impegnata, coerente e globale per sostenere la stabilità politica e promuovere lo sviluppo sociale ed economico, affrontare le cause profonde degli sfollamenti forzati… in tutta la più ampia regione del Mediterraneo, nel Medio Oriente e in Africa.

Ventidue profughi afghani giunti a Roma da Islamabad grazie ai Corridoi umanitari promossi dalla Comunità di Sant’Egidio (Foto Agenzia SIR)

I principi ispiratori: rispetto della sovranità nazionale, responsabilità condivisa, solidarietà, sicurezza e dignità dei migranti e pieno rispetto del diritto internazionale”. Il passaggio focale è il seguente: “Solo partenariati su misura, globali, equilibrati e reciprocamente vantaggiosi tra i paesi di origine, transito e destinazione, sostenuti anche dalle organizzazioni internazionali e dalle istituzioni finanziarie competenti, dalla società civile e dal settore pubblico e privato, possono fornire l’ampio consenso, la volontà politica e la capacità finanziaria necessari per affrontare le sfide migratorie come la migrazione irregolare e l’internazionalizzazione forzata”.
Tali partenariati, “strategici e lungimiranti”, “contribuirebbero a creare una soluzione strutturale a lungo termine per la gestione sostenibile della migrazione”. Sembra un trattato di buone intenzioni.
Ma è sufficiente scorrere l’elenco dei Paesi rappresentati per capire che il pieno rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani (vedi Tunisia, Libia, Egitto, Niger per citarne alcuni) è pura chimera.
L’assenza di Francia e Germania al summit non depone a favore del successo reale dei piani annunciati. Gli annunci di buone intenzioni sono dati senza definizione dei tempi e degli interventi.
Quella che non è scritta, ma che è chiara, è la preoccupazione di arginare in ogni modo le migrazioni dal Sud del mondo verso l’Europa. Il sottinteso si svela nelle dichiarazioni.
La Meloni afferma che “sul contrasto all’immigrazione illegale, penso che la priorità dovrebbe essere quella di rafforzare la collaborazione delle nostre forze di polizia”. Ma è più preoccupante l’altra affermazione presentata come grande apertura: “La grande novità che avremo è che le Nazioni a ricevere i fondi devono essere anche quelle che decidono come spenderli”: visti i tipi di governanti che ci sono in giro la cosa non è affatto rassicurante.
Pur di bloccare le migrazioni, fatte di drammi personali e di intere comunità umane, si promette sostegno a regimi che di umano hanno poco.

Strage di migranti sulla spiaggia di Cutro (KR) – foto Ansa/Sir

In pratica, in cambio di aiuti si tende a spostare la linea di confine delle frontiere dal Mar Mediterraneo alle coste nordafricane con la conseguenza che, per evitare che la gente muoia in mare, la si fa morire nel deserto.
Come il decreto Cutro, con le sue restrizioni, è stato chiaramente un grosso fallimento, così sarà un fallimento la nuova strategia.
Ma il motivo per cui l’agenda Africa è entrata nel dibattito non sta solo nel problema migratorio. È sintomatica di un sentimento ostile all’Europa e all’Occidente in generale la dichiarazione del presidente tunisino: “La migrazione nei secoli passati era da Nord a Sud ed era normale. Si tratta di colonialismo… da alcuni decenni vediamo una migrazione da Sud verso Nord e questa migrazione non è forse un risultato dell’altra che ci fu all’epoca del colonialismo?”.
I popoli hanno memoria lunga. L’Africa, in realtà, non si fida dell’Europa anche perché, malgrado le enormi ricchezze del suo sottosuolo, non riesce a decollare a causa di un neocolonialismo che la espropria del suo futuro.
Non è un caso che si stia rivolgendo, in modi diversi, a Russia e Cina. La Cina investe sul piano economico, la Russia, attraverso la Wagner, sul piano militare, sostenendo, non senza grandi profitti in diamanti o altro, i regimi traballanti del Sahel o dei Paesi sub sahariani. Sono già presenti in Libia, Sudan, Mali, Repubblica Centrafricana, Mozambico.
Sull’orizzonte del Processo di Roma incombe l’interrogativo di un nuovo equilibrio mondiale che desta più di una preoccupazione.

Giovanni Barbieri