La lunga notte delle dimissioni di Mussolini pose fine al ventennio  fascista in Italia

25 LUGLIO 1943. La riunione del Gran Consiglio e l’iniziativa di Dino Grandi di mettere in minoranza il Duce che presentò le dimissioni al Re da presidente del Governo. L’arresto e la prigionia

Mussolini tra i paracadutisti tedeschi che lo hanno appena liberato dalla prigionia (da Wikipedia)

Dentro il Partito fascista si rompe la solidarietà: è il contraccolpo dell’avanzata degli Alleati dalla Sicilia all’Italia continentale, iniziano accaniti i bombardamenti. La sorte di Mussolini era già segnata il 19 luglio 1943 nell’ultimo incontro a Feltre con Hitler che lo aggredì con una raffica di violente accuse: non più aiuti tedeschi come in Grecia e nei Balcani.
Nella notte tra il 24 e il 25 luglio fu convocato il Gran Consiglio Fascista e Dino Grandi prese l’iniziativa di mettere in minoranza Mussolini su un programma che era il ritorno allo Statuto monarchico.
Votarono per le dimissioni del Duce, per l’eliminazione delle strutture totalitarie e per la restituzione al re delle sue prerogative costituzionali, fra queste l’effettivo comando delle forze armate.

L’albergo a Campo Imperatore, sul Gran Sasso, dove fu tenuto prigioniero Mussolini dopo l’arresto (da Wikipedia)

Con Grandi anche il genero Ciano, Bottai, De Bono: l’ordine del giorno fu votato da diciannove membri, sette i contrari e un astenuto. Il re Vittorio Emanuele III, passivo per 20 anni, cerca di scaricare Mussolini e salvare se stesso dal baratro; dopo il patto di Londra del 1915, di nuovo passa dall’altra parte a guerra in corso: ultimo re Savoia, il primo era stato Vittorio Amedeo II nel 1706 anche lui tradendo l’alleanza coi francesi.
Dopo dieci ore di discussioni Mussolini “terreo” dicono alcuni cronisti (ma non c’è una versione univoca né verbale del dibattito) la mattina del 25 luglio si recò dal re non dando retta alla moglie Rachele che gli diceva di non fidarsi.
Col suo buon senso contadino aveva capito quel che accadeva: il re lo fa arrestare, gli rinfaccia la condotta della guerra e le umiliazioni che casa Savoia aveva dovuto subire, come se non fosse stato lui a firmare la dichiarazione di guerra e prima le infami leggi razziali che causarono la morte nei lager di 7.642 ebrei italiani.

Pontremoli festeggiò con il suono del Campanone

A Pontremoli non è festa se non suona il Campanone, però c’era divieto di suonare le campane che potevano essere segnali; con uno strattone è aperta la porticina e un gruppo di giovani fa risuonare l’amata voce e la piazza si è riempita di persone in festa, accorrono anche dalle campagne per sapere cosa fosse accaduto, si canta la canzone del Piave e l’inno di Mameli: ne scrive con drammatizzata esposizione Mino Tassi in “Pagine Pontremolesi”. Uguale senso di liberazione anche ad Aulla: è testimonianza raccolta da Giulivo Ricci, ma ovunque si può affermare che si fece festa, anche se non si possono consultare tutte le narrazioni.

Lo accompagnò sulla porta e pochi minuti dopo fu messo su autoambulanza della CRI e portato nella caserma CC in via Legnano, poi a Ponza e al Gran Sasso, dove un blitz nazista lo liberò 50 giorni dopo l’arresto. Fu portato a Monaco perché Hitler lo riteneva ancora una pedina importante, per la formazione della Repubblica Sociale di Salò, governo fantoccio che metteva l’Italia sotto occupazione tedesca.
Una grande parte degli italiani accolsero con gioia la notizia della fine del fascismo, furono abbattuti i busti del duce e cancellate le scritte inneggianti, ma ben presto si capì che la guerra non era finita, il peggio doveva ancora arrivare.
Il re subito fece Pietro Badoglio capo di un governo conservatore, senza la destra fascista, abolì le istituzioni più tipiche del regime, ma rimase la Milizia polizia politica, nessun partito politico ebbe libertà di operare per la durata della guerra. Questi però erano stati attivi clandestinamente anche durante il regime (comunisti, socialisti, partito d’azione, cristiani democratici..).
Nel marzo 1943 gli operai di Torino, Milano e Genova scatenarono una serie di scioperi dando una portata politica e antifascista. Le adunate oceaniche nelle piazze erano costituite da fascisti convinti, una categoria politica piuttosto persistente (Umberto Eco “Il fascismo eterno”), e dai tanti che dovevano apparire fascisti per necessità, che escono all’aperto dopo quel 25 luglio di 80 anni fa e che sono stati la forza della Resistenza partigiana e popolare; la prima città liberatasi da sola fu Napoli nelle quattro giornate dal 28 settembre 1943.
Alcuni gerarchi di peso (Farinacci, Pavolini, Preziosi, il carrarino Renato Ricci sotto falso nome ripararono in Prussia sorvegliati dalle SS). L’ambiguità trionfava: Badoglio dichiarava che la guerra continuava a fianco dei tedeschi ma di nascosto subito aveva trattato per l’armistizio, annunciato da radio Londra la sera dell’8 settembre non nelle forme previste, a sorpresa del governo Badoglio e con immediata occupazione dell’Italia non ancora liberata e furono internati nei campi di lavoro e di sterminio oltre seicentomila soldati (IMI).
Altra infamia fu l’abbandono dell’Italia: per paura della reazione tedesca, Badoglio e il re con le famiglie e alti funzionari fuggono a Brindisi libera, dichiarano di voler meglio governare il paese, è una vile menzogna: salvano la pelle e gli italiani, lasciati nel caos, hanno dovuto organizzarsi dal basso e lottare.
E finalmente fu repubblica democratica, con una Costituzione che resta la nostra bussola e non va stravolta, parlamentare è nata e tale deve rimanere.

Maria Luisa Simoncelli