Le strade intersecate dei due pontefici del Concilio

Nel giugno di 60 anni fa la morte di Giovanni XXIII e la successione di Paolo VI: la continuità tra due papi dai profili differenti. Per realizzare il Concilio Vaticano II la Provvidenza si era servita “dell’audace, anziano pilota per lanciarne in mare il vascello” e “del giovane per farlo giungere in porto”. Ma sia per Giovanni XXIII come per Paolo VI dare forma all’anelito giovanneo di “spalancare” le finestre per far entrare aria nuova nella Chiesa non fu cosa semplice.

Papa(1881 – 1963)

Il filosofo cattolico francese Jean Guitton disse che per realizzare il Concilio Vaticano II la Provvidenza si era servita “dell’audace, anziano pilota per lanciarne in mare il vascello” e “del giovane per farlo giungere in porto”. La similitudine marinara ben descrive il ruolo interpretato da Giovanni XXIII e Paolo VI al timone della barca della Chiesa negli anni in cui questa ha aggiornato le modalità della sua presenza e missione nel mondo.
Il giugno di 60 anni fa fu il momento del “passaggio di testimone” tra i due vescovi di Roma: il 3 giugno 1963, moriva Angelo Giuseppe Roncalli; il 21 dello stesso mese, il conclave eleggeva nuovo vescovo di Roma il cardinale Giovanni Montini. Il giorno dopo, il nuovo papa Paolo VI annunciava la non scontata prosecuzione del Concilio, iniziato nell’ottobre dell’anno precedente.
Strade distinte, ma spesso intersecate, quelle dei due papi del Concilio: lo stesso patrimonio culturale e religioso lombardo che li vide crescere e formarsi; le molteplici relazioni che intrecciarono tra loro nell’attività diplomatica a servizio della santa Sede; la sintonia nel loro modo di intendere e di esercitare il ministero episcopale in due diocesi come Venezia e Milano; la comune idea di conciliare il mondo moderno con la Chiesa, che valse ad entrambi, in momenti diversi della loro vita, l’accusa di essere in odore di modernismo.

Ottobre 1962: il discorso di apertura del Concilio Vaticano II pronunciato da Papa Giovanni XXIII (foto Vatican News)

Ma soprattutto, Giovanni XXIII e Paolo VI condivisero totalmente il progetto conciliare di rinnovamento della Chiesa a livello dottrinale, pastorale e liturgico e l’idea che la storia dell’umanità fosse il campo dell’azione missionaria dei cristiani.
Eppure, le differenze tra i due Papi non erano poche. Roncalli proveniva da una famiglia contadina, mentre Montini era di estrazione borghese. Il primo dimostrò una notevole comunicativa con le masse – il “discorso alla Luna” ne fu la rappresentazione più celebre – mentre il secondo era più a suo agio nel dialogo con il mondo della cultura.
Ed anche nella conduzione dell’assise conciliare le differenze emersero nitidamente: la libertà garantita da Giovanni XXIII nella prima sessione fu sostituita da un controllo attento e diretto di Paolo VI, che avocò a sé decisioni preminenti e che nelle tre sessioni sotto la sua conduzione mediò tra le anime dell’episcopato, per evitare sia fughe in avanti che derive nostalgiche.

San Paolo VI, Giovanni Battista Montini (1897 – 1978). (Foto Wikipedia – CNS photo).

Queste ed altre differenze non impedirono a Paolo VI di porsi naturalmente in continuità con il predecessore: se il “Papa buono” fu il primo papa dell’era moderna ad uscire dal Vaticano – si recò in treno ad Assisi una settimana prima del Concilio – papa Montini inaugurò la prassi delle visite apostoliche recandosi in Terra Santa, nel 1964, dove incontrò il Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Atenagora, dando linfa al cammino ecumenico promosso dal predecessore. La prima enciclica montiniana, Ecclesiam suam (1964), soprattutto, sancì la comunanza del disegno pastorale tra i due papi: “La parola, resa ormai famosa, del nostro venerato predecessore Giovanni XXIII – la parola ‘aggiornamento’ – sarà da noi sempre tenuta presente come indirizzo programmatico; […] uno stimolo alla sempre rinascente vitalità della Chiesa, alla sua sempre vigile capacità di studiare i segni dei tempi”.

Papa Paolo VI in una cerimonia del Concilio Vaticano II (foto Vatican News)

Per Giovanni XXIII come per Paolo VI, tuttavia, dare forma all’anelito giovanneo di “spalancare” le finestre per far entrare aria nuova nella Chiesa non fu cosa semplice. Se il primo dovette affrontare l’opposizione ferrea e spesso subdola di parte della Curia Romana nella preparazione del Concilio, il secondo, teso ad attuare il dettato conciliare tenendo unito il composito mondo cattolico, subì contestazioni da ogni parte. Da chi, negli stessi anni della contestazione giovanile, sosteneva la tesi di un tradimento del Concilio e da chi, di converso, condannava i passi in avanti promossi.
La Humanae Vitae contestata dai riformatori e la Populorum Progressio criticata dai conservatori, la “fuga a sinistra” di Dom Franzoni e i rigurgiti anticonciliari di Marcel Lefevre testimoniarono le profonde fratture alle quali un Papa incompreso e talvolta denigrato dovette fare fronte.
Nella festa dei Santi Pietro e Paolo del 1972, papa Montini si spinse a dire che “da qualche fessura è entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio. C’è il dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine, l’insoddisfazione, il confronto. Non ci si fida più della Chiesa […]. Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza”.
Al Convegno eucaristico nazionale di Pescara, nel 1977, il patriarca di Venezia, Albino Luciani, si spinse a definire papa Montini ‘martire’ “al quale è toccato di svolgere l’alta missione in tempi difficili”.
Parole, quelle del futuro Giovanni Paolo I, che risuonano in quelle pronunciate pochi giorni fa, in occasione dei 60 anni dalla morte di Giovanni XXIII, da papa Francesco, per il quale i due papi del Concilio “hanno saputo guidare la Chiesa in tempi di grandi entusiasmi e però altrettanto di grandi domande e sfide”.

(Davide Tondani)