Io sono la via, la verità e la vita

Domenica 7 maggio – V Domenica di Pasqua
(At 6,1-7; 1Pt 2,3-9; Gv 14,1-12)

Dopo le apparizioni del Risorto, in queste domeniche la liturgia ci invita a riflettere sul discorso di addio che Gesù ha fatto ai discepoli dopo la Cena. Pur essendo nell’imminenza della passione, Gesù non pensa a se stesso, ma fa coraggio ai discepoli con parole che sono opportune anche per noi oggi: “Non sia turbato il vostro cuore”, “Abbiate fede”, “Compirete opere più grandi”.
1. La forza di chi manda. L’Apostolo è un inviato di Gesù come collaboratore per la trasmissione del suo messaggio: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate”. La consapevolezza di non aver intrapreso per volontà propria un ministero tanto difficile dà a chi è mandato la certezza di aver diritto all’aiuto di Dio. Ritenersi mandato da Dio è essenziale all’apostolo per vincere gli ostacoli che incontra sul cammino, perché confida nella assistenza continua promessa da Gesù: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. Specialmente nei momenti di scoraggiamento è bello ricordare che noi siamo solo strumenti docili all’azione di Qualcun altro: “Non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi”. Non c’è nulla di più rassicurante per chi è consapevole di non essere all’altezza del ministero più divino che esiste.
2. Fiducia in qualcuno più grande. Il cristiano si distingue dal non cristiano per il modo in cui vince la paura. L’alternativa cristiana al dubbio, all’incertezza e alla paura si chiama fede in una persona, in Gesù. Il vero discepolo di Gesù non cede alla tentazione di considerarsi dimenticato, di sentirsi insignificante, ma impara piuttosto da Gesù a fidarsi del Padre, il quale se provvede agli uccelli del cielo tanto più provvederà ai discepoli del suo Figlio, il quale ci ripete: “Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me”. La poca riuscita dei nostri piani pastorali ci deve persuadere che forse abbiamo riposto troppa fiducia nelle risorse umane e abbiamo considerato essenziali cose che tali non erano. Accettiamo la lezione dalle vicende accadute, riconsideriamo i veri valori della nostra missione e cerchiamo di alimentare la nostra fede prima di preoccuparci di quella degli altri.
3. Compirà le opere che io compio. Prima di tutto bisogna curare il nostro rapporto con il Signore; se questo rapporto c’è, inevitabilmente trasparirà nelle opere. Comunione con Dio e missione verso i fratelli sono la qualifica della nostra identità cristiana, fede pasquale e testimonianza di vita si intersecano a vicenda. Quando avremo la grazia di costatare la nostra fragilità, non riteniamola debolezza, ma consapevolezza dei nostri limiti che ci spinge a cercare sostegno in qualcuno più grande di noi. Solo nella consapevolezza della nostra fragilità possiamo fondare il nuovo umanesimo, un umanesimo che è celebrazione della grandezza dell’uomo quando è unito alla presenza divina.

† Alberto