Il nuovo ruolo della Finlandia
La premier socialdemocratica finlandese Sanna Marin (Foto SIR/Parlamento europeo)

Era prevedibile che l’equilibrio di assetti territoriali e politici derivato dall’immane disastro della Seconda guerra mondiale non potesse durare per sempre; negli ormai lontani anni del secondo dopoguerra, dire Finlandia significava parlare di una nazione che, con fatica, sosteneva una posizione di neutralità fortemente condizionata dalla invadenza (trasformatasi a più riprese in invasione) di un vicino ingombrante: la Russia e poi l’Unione sovietica.
Oggi la Finlandia è diventato il 31° partner della Nato, cioè di una alleanza militare nata pure lei dagli equilibri successivi alla seconda guerra mondiale, e che, di fatto, è rimasta l’unica ad avere un peso nello scacchiere mondiale. La funzione di Stato cuscinetto tra l’impero sovietico e il blocco occidentale era già cessata con la caduta del muro di Berlino, che aveva diffuso l’illusione di una nuova Europa, se non di un nuovo assetto, in prospettiva di pace, del contesto politico mondiale.

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Una illusione rimasta tale anche a causa dell’incapacità dell’Europa di costituire un fronte davvero comune nel sostenere un’idea di collaborazione e non di contrapposizione tra le potenze tradizionali e quelle in fase di ascesa.
Con l’ingresso della Finlandia nella Nato, gli scenari di secondo tipo sembrano sempre più confermarsi e il solco tra ciò che rimane (e che Putin vorrebbe rilanciare) dell’impero sovietico e il mondo occidentale sembra allargarsi ogni giorno di più dall’inizio della scriteriata invasione dell’Ucraina.
La scelta della Finlandia ha portato l’attenzione degli osservatori e degli Stati in competizione sulla redistribuzione delle forze in campo piuttosto che sulla funzione e sulla gestione dell’alleanza atlantica, dando una nuova spinta all’idea della sfida. Proprio in Finlandia, invece, sul finire negli anni ’60, era stato attivato il “salotto degli ambasciatori” che, nel nome del negoziato, portò alla redazione dell’Atto Finale di Helsinki.
Un accordo che guardava a un ordine internazionale fondato su tre pilastri: la sicurezza, la cooperazione economica, le relazioni pacifiche tra popoli e tra persone. Il pensare oggi alla Finlandia significa ripercorrere anche quell’esperienza che rimane un modo validato dalla prassi per garantire non la tenuta, ma lo stesso funzionamento del sistema internazionale, la sua capacità di garantire la lettura dei processi, l’individuazione degli obietti e la loro governabilità.
Quel “laboratorio” ha dimostrato che governare processi e situazioni è il solo modo per disegnare scenari di pace, quella pace che non è mai un punto di arrivo, bensì la confluenza di interessi certamente diversi, ma uniti intorno ad un unico obiettivo. Sia pure in un contesto del tutto differente, si può quindi dire che le scelte di un Paese considerato dai più di scarso peso sullo scenario mondiale potrebbero avere, invece, un forte impatto sui futuri rapporti internazionali.