Vivere in una società che ha un esagerato bisogno di visibilità

Grandi pensatori parlano di rapida sparizione del padre, nel senso che non è più sentito come autorevole punto di riferimento e il figlio Telemaco è disorientato nell’affrontare la crisi radicale presente in quasi tutto, con perdita di fiducia dopo che ci si era illusi che bastasse scienza e tecnologia a farci vivere meglio. Lo psicanalista Gustavo Pietropolli Charmet, autore del libro L’insostenibile bisogno di ammirazione (Bari, Laterza, 2018), cura pazienti nel travaglio di sentimenti di colpa e di vergogna perché non si sentono considerati a livello individuale dentro una società che ha un esagerato bisogno di visibilità; hanno paura di rimanere in un cono d’ombra, fanno prevalere comportamenti di narcisismo.
L’educazione si è incentrata sulla valorizzazione del bambino, che non ha più paura dei castighi, tanto praticati in passato con la motivazione che per natura l’individuo è portato ad azioni trasgressive sessuali e di violenza, quindi bisogna correggere in anticipo, addestrare al sacrificio, dare regole per evitare le tentazioni: è l’invocazione del “Pater noster”.
L’analisi dell’autore insiste sul bisogno di ammirazione per avere stima di sé, obiettivo che non implica capacità straordinarie, ma trovare il Sé, il proprio ruolo sociale, evitare il pericolo della noia che interferisce con tristezza e paura di entrare in cronica apatia. La paura di far brutta figura coi coetanei e di essere mortificati logora la fiducia in se stessi; modestia e riservatezza sembrano sotto attacco, si accende il bisogno di trovare una via di fuga che restituisca amor proprio e dignità.
Sono condizioni esistenziali che mettono al bivio: o uno cerca vendetta o diventa un “eremita metropolitano” , si chiude in cameretta per evitare lo sguardo degli altri. Altro disagio viene dalla cosiddetta “crisi del pudore”: fino a pochi decenni fa si sapevano i confini del “comune senso del pudore”: non scollature audaci, niente nudità e non “linguaggio grasso”,ci insegnavano che il pudore è il vestito che natura ci ha messo addosso. La rivoluzione della minigonna può essere la bandiera dell’atteggiamento trasgressivo di esibizione della bellezza per avere ammirazione e suscitare desiderio.
Nell’attuale società del narcisismo, uno, se non ottiene riconoscimento e successo, vive in un dolore silenzioso. Rimedio è formare un patto di solidarietà generazionale vissuto come inviolabile. Un capitolo del libro affronta l’uso del corpo, una lavagna su cui incidere messaggi tatuati fatti per completarsi, per attirare lo sguardo dell’altro, per farsi ammirare. Il pearcing è farsi piccole ferite come se non fossero fatte sul proprio corpo. E’ terribile quando l’adolescente non capisce il suo nuovo corpo che è in trasformazione, ha timore del giudizio degli altri, negativi sono i modelli di bellezza pubblicizzati. L’anoressia è intesa come liberazione dalla dipendenza alimentare, ragazze ascetiche vorrebbero alimentare solo la potenza della mente. I genitori si tormentano nel timore di non aver capito in tempo utile la paura dei figli, li istigano a ottenere successi scolastici o sportivi come compensazione.
L’intimità diventa un rifugio dai livelli stressanti di competizione. L’amicizia si è fatta sempre più virtuale, si comunica sul web, ma è la relazione come tra due carcerati, dentro un diverso spazio sociale che non appaga la realizzazione del Sé. I social-media danno l’illusione di poter far qualcosa di libero, invece prevale l’aggressività verbale, il rifiuto del dialogo democratico. Si affronta il problema della violenza contro vittime che non sono avversari, la praticano bande di giovanissimi, in realtà sono bambini. In conclusione il libro osserva che oggi i ragazzi scelgono i loro comportamenti per esibirsi socialmente e trovare approvazione e i genitori si adeguano.

Maria Luisa Simoncelli