La crescita diseguale della popolazione mondiale

Secondo le stime dell’Onu il 15 novembre la popolazione mondiale ha raggiunto gli 8 miliardi di persone. Si tratta di una cifra impressionante soprattutto per la rapidità con cui è stata raggiunta. Basti pensare che settanta anni fa, nel 1950, la popolazione mondiale era di 2,5 miliardi. Colpisce inoltre la sua disomogeneità. Infatti, c’è una fascia, definita del tramonto, formata da Paesi economicamente sviluppati e che si estende dall’Europa centrale sino alla Cina e al Giappone, passando per la Russia e i Paesi dell’ex Urss, nella quale vi è un calo della popolazione che appare in molti Paesi irreversibile.
Una delle conseguenze di questo andamento demografico sarà nel prossimo anno la sostituzione della Cina da parte dell’India quale Paese più popoloso del pianeta. Nel contempo, l’Africa subsahariana nel 2050 raddoppierà la propria popolazione e diverrà il continente che da solo coprirà la meta dell’incremento mondiale della popolazione.
Dato che i Paesi con il maggior tasso di incremento della popolazione sono soprattutto quelli con le economie più fragili e con il reddito pro capite più basso, non si può fare a meno di chiedersi quali possano essere le cause di questa crescita diseguale della popolazione nel nostro pianeta. Secondo le Nazioni Unite l’aumento della popolazione è il risultato di un graduale aumento dell’aspettativa di vita, grazie ai progressi della sanità pubblica, nutrizione, igiene personale e medicina, così come sul rallentamento della crescita della popolazione influisce significativamente l’aumento dell’istruzione femminile e delle pari opportunità.
Questa considerazione di carattere generale, però, spiega solo in parte le differenze dei tassi di crescita e di decrescita tra i Paesi più ricchi e quelli più poveri. Si ipotizza che nei Paesi più poveri, dove vi è sovente un’elevata mortalità infantile, un’aspettativa di vita più ridotta e una maggiore insicurezza del futuro, siano più presenti quelle forze, dettate dall’istinto, che tendono alla salvaguardia della vita attraverso l’incremento delle nascite.
Inoltre, in tali contesti, come avveniva in passato anche nel nostro Paese, si pensa che un numero elevato di figli garantisca il futuro della famiglia e l’aiuto ai genitori nella vecchiaia. Al contrario, nei Paesi più ricchi il bisogno di sicurezza è piuttosto affidato alla creazione di servizi di protezione sociale, sanitaria e previdenziale. In tal modo si è operata una separazione tra l’istinto a generare figli e il desiderio di garantire la sopravvivenza e lo sviluppo della vita sia degli individui sia delle società.
Questi cambiamenti, uniti all’affermarsi di una economia basata sullo sviluppo senza fine dei consumi e di una società preoccupata di provvedere alla soddisfazione dei bisogni individuali, hanno retrocesso la scelta della procreazione a livello di tante altre possibili scelte relegandola ad un ruolo di secondo piano.

M.P. – Agensir