Il teatro come ponte tra il carcere e la società civile

Da otto anni l’Istituto Penale Minorile di Pontremoli sperimenta attività aperte

Sono passati ormai più di otto anni da quando, il 31 gennaio 2014, per la prima volta venne proposto uno spettacolo (nello specifico si trattava de “L’uccello di fuoco”, con sottofondo le musiche dell’omonimo balletto di Stravinskij) che vedeva protagoniste le ragazze ospiti dell’Istituto Penale di Pontremoli.
Da allora tanta acqua è passata sotto i ponti ma quell’appuntamento è diventato, sia pure cambiando data, collocazione ed anche modalità di espressione (i primi spettacoli erano esclusivamente corporali, con danze e movimenti ma senza l’uso della parola che poi è entrata negli ultimi lavori), un punto fisso del calendario pontremolese. Creando anche un’importante sinergia con la comunità civile, con varie persone che hanno collaborato (una citazione particolare la merita il gruppo del Centro Giovanile “Mons. Sismondo” guidato da don Pietro Pratolongo) come attori, scrittori, organizzatori, scenografi, etc, Insomma il teatro come ponte tra il carcere e la società civile, come luogo di contatto tra i detenuti e i cittadini.
Ma anche un modello di quel recupero, sociale e culturale che il teatro in carcere, e la cultura in generale, dovrebbero operare in vista di quella rieducazione a cui tende o dovrebbe tendere l’istituzione penitenziaria.
Tra gli artefici principali di questa iniziativa c’è senza dubbio il regista Paolo Billi che da oltre 20 anni lavora con gli adolescenti. Prima a Bologna, poi anche in altri luoghi, in una sperimentazione che non accetta mai di mettere in scena direttamente i vissuti, ma che filtra la condizione reclusa, quella emarginata, le inquietudini di un’età di ansie e splendori attraverso la letteratura, spesso con una cifra grottesca che mette a gambe all’aria gli stereotipi; confrontandosi con le esperienze dei ragazzi, rivissute, trasformate, cercando di sfuggire alle strade troppo facili da percorrere.
“Il mio lavoro teatrale – ha raccontato Billi – con adolescenze diverse qui a Pontremoli (come a Bologna e in altri luoghi con persone private della libertà) pratica sempre un approccio “laico”; cerca sempre di svelare e incrinare i pregiudizi che governano tanta nostra quotidianità; cerca di sviluppare un senso critico fondato sulla pluralità degli sguardi”. Come ha dimostrato anche l’ultimo lavoro portato a teatro, “Boxing Margot” una storia femminile legata al mondo della boxe, tra riscatti e sconfitte, tra affermazioni e cadute, nella continua ricerca di “rientrare in sé stessi”. La drammaturgia è scandita tragicamente da tre letti di ospedale che vedono Margot in coma: prima vittima di un’aggressione da parte dei suoi compagni di scuola; quindi dopo un incontro clandestino senza regole, affrontato dopo la morte della madre; infine l’ultimo letto dopo il suo match più bello, all’apice della carriera. Paolo Billi ha raccontato nel corso dei vari incontri che precedono gli spettacoli, come il suo lavoro con il teatro in carcere e i servizi di giustizia minorile sia iniziato per caso quasi due decadi fa e che la scelta di proseguire in questo ambito sia arrivata con le prime esperienze e la presa di coscienza della funzione pedagogica sulla quale intervenire, assumendo indirettamente un ruolo di educatori.
E senza dubbio questo impegno ha avuto anche dei riscontri positivi con alcune ragazze che sono riuscite a lasciarci alle spalle una vita che pareva impossibile cambiare imboccando un percorso migliore. Ad esempio, una ragazza di origine rom ha lasciato il campo nomadi dove risiedeva con la famiglia per tentare un’altra esistenza. Ripudiata dai parenti, sola nella sua battaglia si spera che, come il laboratorio teatrale è riuscito a far nascere in lei il desiderio e la possibilità di un’alternativa a una presumibile esistenza fatta di elemosine e/o piccoli furti, la nuova vita le permetta di realizzare tutti gli obiettivi che si è prefissata.

(Riccardo Sordi)