Crisi climatica: restano lontani gli  obiettivi per salvare il mondo

Si è conclusa tra la delusione generale la Cop27 di Sharm-el-Sheikh

“Siamo su un’autostrada verso l’inferno climatico con il piede sull’acceleratore”. Così il segretario delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, si è espresso nel suo discorso di inaugurazione della Conferenza sulla lotta alla crisi climatica – la Cop27 – a Sharm-el-Sheikh. Il fatto stesso che si sia giunti alla conferenza numero 27 con i risultati (disastrosi) che tutti possono constatare è il segno del fallimento di fatto di tutti questi summit.
A partire dal protocollo di Tokio, il primo accordo internazionale a contenere gli impegni dei Paesi industrializzati a ridurre le emissioni di alcuni gas ad effetto serra, responsabili del riscaldamento del pianeta. Adottato a Kyoto, Giappone, nel 1997, è entrato in vigore il nel 2005.
La lentezza con la quale è stato reso operativo è segno della tiepidezza degli Stati nei confronti di un problema già allora allarmante. Gli impegni, malgrado le tante dichiarazioni di facciata, non furono rispettati se non in minima parte e si giunse così, nel 2016, alla Cop21 di Parigi. L’accordo raggiunto nella capitale francese è diventato il nuovo punto di riferimento nella lotta al riscaldamento globale. Esso contiene l’obiettivo a lungo termine di mantenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto di 2°C in più rispetto ai livelli preindustriali e di proseguire gli sforzi per limitarlo a 1,5°C; contestualmente, sono decisi contributi al fine di ridurre le rispettive emissioni.
C’è l’impegno dei governi di comunicare ogni cinque anni i rispettivi piani d’azione. Ci sono anche la trasparenza, con i Paesi che devono comunicare i risultati raggiunti; la solidarietà, con gli Stati più sviluppati impegnati a fornire finanziamenti ai Paesi in via di sviluppo per aiutarli sia a ridurre le emissioni che a diventare più resilienti.
Se il segretario Onu ha iniziato i lavori di Cop27 con toni così allarmati, però, significa che i “buoni propositi” non hanno portato a risultati di rilievo. Anzi, il surriscaldamento globale ha subito un’accelerazione ampiamente prevista dagli scienziati. Il problema è che nessuno dei Paesi privilegiati vuole affrontare sacrifici e nessuno dei “signori” del gas e del petrolio vuole rinunciare ai profitti. Guterres a aggiunto che c’è anche una notizia positiva: abbiamo tutti gli strumenti per intervenire. Ma bisogna investire in fonti alternative, bisogna tirar fuori i soldi, ci vuole volontà politica. Il problema è sotto gli occhi di tutti, ma quando si tratta di andare al sodo, di prendere anche decisioni impopolari, oltre che dispendiose, le disponibilità diventano flebili.
A Sharm el-Sheikh sono arrivati oltre 130 capi di Stato e di Governo per far sentire le voci dei Paesi che meno hanno contribuito alla crisi climatica e più ne subiscono le conseguenze. E sono in attesa di risposte. Qualcosa c’è stato. Il timore è che tutto si fermi, anche questa volta, alle promesse. Mia Mottley, la premier delle Barbados, ha ricordato che il Sud del mondo rimane “alla mercé del Nord”. Di fronte agli enormi squilibri che si sono creati nei Paesi poveri si è pensato ad una forma di risarcimento sulla base dei danni che questi hanno già subito. Un tema che, dopo anni di lotte e discussioni, è entrato formalmente nell’agenda dei negoziati. 
Ma non è stato facile. Il documento finale ha subito ritardi proprio per la lotta che si è aperta attorno a questi risarcimenti. Il commento di Guterres alla conclusione dei lavori è stato amaro: “il pianeta è ancora in rianimazione”. Il testo conclusivo salva la soglia di 1,5°C entro la quale contenere l’aumento delle temperature alla fine del secolo. Un traguardo non scontato. L’azione di lobby posta in essere dall’Arabia Saudita e dagli altri “petro-Stati” ha impedito l’adozione di decisioni sufficientemente forti per raggiungere l’obiettivo. Né viene imposto alle parti un ulteriore impegno di tagli ai gas inquinanti: il documento si limita a chiedere a quanti non l’abbiano ancora fatto di presentare gli aggiornamenti. In base a quelli più recenti, però, il riscaldamento andrà ben oltre quella soglia.
Gli scienziati parlano di un incremento compreso tra i 2,5 e i 4 °C: troppo per interi pezzi di mondo e i suoi abitanti. Sui combustibili fossili si resta fermi alla riduzione del carbone e a sussidi inefficienti. Respinta la proposta di Usa, Europa e – fatto anomalo – India di estendere il calo anche agli altri idrocarburi.
Malgrado le difficoltà poste in essere dal G77+Cina, che raccoglie 134 Paesi in maggioranza in via di sviluppo e voleva usufruire dell’intervento, si è riusciti a istituire un meccanismo finanziario per le perdite e i danni dei Paesi più vulnerabili: viene costituito un fondo controllato da un comitato. È un passo importante poiché viene di fatto riconosciuto che il Nord del mondo ha grosse responsabilità nelle carestie e nelle alluvioni (con tutte le problematiche che ne conseguono, non ultima le migrazioni) che toccano il Sud del mondo.

Giovanni Barbieri