
Domenica 20 novembre – Cristo Re dell’Universo – XXXIII del tempo ordinario
(2Sam 5,1-3 – Col 1,12-20 – Lc 23,35-43)
È quello il tempo del dramma, appena dopo, quando l’accaduto è senza ritorno, quando le vedi le conseguenze, quando rimani senza fiato perché nonostante tutto il tempo scorre, come se Niente, fosse. È quello il tempo del dramma, del vero dramma, dopo che un Dio è stato inchiodato alla croce con tutta la sua carne addosso, da brav’uomo, tra due ladroni, mentre il tempo, indifferente, non se ne cura, e invece si dilata e lascia che il popolo ci guardi dentro, così, senza censura, senza neppure una lacrima o almeno una bestemmia dall’alto scagliata contro l’umanità.
È questa vita che accade ad essere drammatica, è questa vita che accade così, come se niente fosse, è questo “popolo (che) stava a vedere”, che continua a guardare, che guarda sempre, ebete e distaccato, come se niente fosse, dentro il tempo che passa, guardare le cose che scorrono, la morte di un Dio, la vita che accade. Credo che il dramma non stia nella carne straziata, nel sangue, nelle bestemmie dei soldati, non stia nel Calvario durante la crocifissione più famosa di sempre ma dopo. Il dramma sta tutto nello sguardo di un popolo che “stava a vedere”. Che pena. Non urla, non piange, non ride, rimane. A vedere. E ognuno vede qualcosa di diverso. Qualcuno in quell’uomo appeso vede uno sconfitto, altri un rivoluzionario tradito, per qualcuno è un uomo che non riesce ad odiare neppure sotto tortura, per altri è un impostore, un mago, un profeta, l’amico dei ladri e delle prostitute, per qualcuno è una speranza tradita, la vittima dei politici, o dei preti, o di qualche grande potere, per qualcuno è un illuso, per altri è un niente, in mezzo a tanto niente, un morto tra i morti, tra quelli che sono stati e quelli che saranno. Per qualcuno è già dimenticato. E noi continuiamo a guardare, e infinite saranno le interpretazioni attorno a quel cadavere appeso ad un legno, infinite come gli sguardi, per qualcuno il Senso della vita, per altri il simbolo di una tradizione, per altri ancora simbolo di dolore e per qualcuno d’amore. Mi fanno paura, lo giuro, tutte queste visioni diverse, da destra e da sinistra, ognuno a dire la sua, convinto di avere ragione, “il popolo stava a vedere” e io vorrei che chiudessimo gli occhi, per interrompere il fascio di interpretazione, io silenzio vorrei, contemplativo, io per primo vorrei stare in silenzio, non c’è niente da dire. Siamo solo interpretazioni fugaci dell’infinito.
Dell’Amore che muore per Amore possiamo solo balbettarne una vaga intuizione. Vorrei stare in silenzio, abitarci nel suo grembo, non voglio “stare a vedere” voglio solo “stare”.
don Alessandro Deho’