Se le donne cantano “O bella, ciao” a Teheran

La canzone dei partigiani è un inno alla libertà adottato dalle eroiche iraniane in lotta per i diritti. Proteste in strade e piazze della capitale dell’Iran nonostante la durissima repressione: la Polizia Morale pretende di controllare tutto

Antica è la condizione di schiavitù delle donne in tante società, quella islamica prima di tutto. Esaminando i titoli dei moltissimi capitoli del Corano troviamo regole religiose e civili tutte declinate al maschile: il IV “Donne” sono ordini su beni economici da spartire prima di tutto agli orfani e anche pene per femmine colpevoli di scandalo, il LXV detta come fare il “Ripudio delle mogli”. Le musulmane devono essere “piene di fede, devote, col cuore pentito, capaci di adorare, dedite alle pratiche di austerità” (LXVI).
Morto Maometto nel 632, la religione musulmana si diffuse rapidamente, spaccata tra sciiti e sunniti, si affermarono Stati teocratici che imposero a loro arbitrio regole rigide per le donne: ritenute inferiori all’uomo, non sono loro riconosciuti diritti, devono stare chiuse in casa, in pubblico solo se accompagnate e coperte integralmente, o come le afgane sepolte dentro un abito-carcere detto burqa, oppure come le iraniane dal capo ai piedi vestite di nero perché non si vedano in trasparenza parti del corpo e col velo che copra del tutto i capelli, che fanno la bellezza e il fascino di una donna: “erano i capei d’oro a l’aura sparsi” canta Petrarca sognando l’amata dai biondi capelli mossi dal vento.
L’obbligo rigoroso di tenere coperto interamente il capo gli islamisti dicono che non è prescritto dal Corano, a meno che non si richiami al capitolo XIX in cui si parla di Maryam, la Madonna di Gesù, che “prese un velo” per nascondersi nel deserto dove le fu annunciato che avrebbe partorito “un bimbo puro”.
Veniamo all’Iran dei giorni più recenti: Masha Amini, ragazza curda di 22 anni è stata uccisa dopo tre giorni di agonia perché in una manifestazione aveva lasciate fuori del velo ciocche di capelli.
Esiste nel paese una Polizia morale che pretende di controllare tutto, cosa mangiare, cosa pensare, come vestirsi. È troppo. Le donne iraniane a Teheran e in tante altre città hanno occupato le piazze e le strade per protestare, si sono tolte il velo, lo hanno bruciato mentre calpestavano volantini col volto di Khamenei, capo supremo del regime politico e religioso degli ayatholà. Sono molto determinate a conquistare i diritti universali al grido Donna – Vita – Libertà e cantano O bella, ciao, la canzone dei nostri partigiani diventata simbolo della loro lotta di liberazione. Rischiano molto e ne sono consapevoli ma non desistono, vogliono essere libere per il loro talento. Il regime reprime con ferocia sanguinaria, più di un centinaio sono state uccise e più di mille arrestate, ma la contabilità è in continuo aggiornamento.
Il regime, che censura i mass-media, blocca le connessioni internet, ha tirato fuori la solita “teoria del complotto” secondo cui gli USA e Israele avrebbero ordito un complotto per destabilizzare l’Iran.
Incarcerata come prigioniera politica è l’italiana Piperno Alessia arrestata per partecipazione a manifestazione; speriamo la liberazione . Col loro coraggio eroico le donne ribelli iraniane hanno portato giovani di tanti altri paesi a sostenere la protesta, si stanno moltiplicando le manifestazioni di solidarietà non con le parole ma col gesto del taglio di ciocche di capelli e gridano la rabbia, vogliono liberare la donna dalla paura e dall’oppressione in Iran.
Ma sono tante le forme di violenza presenti in ogni paese: vanno dal pregiudizio che non siano capaci di autodeterminarsi all’emarginazione di chi non vuol adeguarsi al modello unico del femminile imposto dal consumismo e sostenuto dall’uso del corpo della donna come merce.
C’è poi il flagello delle donne uccise quasi sempre dai loro uomini che non accettano lo spegnersi di una relazione affettiva: in Italia i femminicidi hanno cifre enormi. Le donne argentine con persistente battere di casseruole riempirono a Buenos Aires la piazza del palazzo del potere dei militari dittatori esigendo risposta alla sparizione dei loro figli. Ora sono le mamme sulle piazze della Russia a chiedere dei loro figli costretti alla guerra e spesso morti senza neppure riconsegnare il corpo alla famiglia, protestano, nonostante la durissima repressione del regime al potere.

Maria Luisa Simoncelli