La politica energetica  del dopo – Mattei  tra inerzia e scelte miopi

Una produzione energetica abbondante e a costi competitivi nel XX secolo è stata la precondizione per avviare e consolidare lo sviluppo industriale; Enrico Mattei non solo si fece interprete di questa esigenza, ma intuì anche come un paese come l’Italia, povero di risorse energetiche, necessitasse anche di relazioni internazionali che non si limitassero a percorrere anche in campo energetico il solco dell’alleanza con gli Stati Uniti. Fu così che il manager marchigiano attuò obiettivi di approvvigionamento energetico che sconfinavano nel delicato ambito della politica estera.
L’Eni aprì relazioni commerciali che ben presto divennero canali di dialogo politico con paesi come Egitto, Iran, Iraq, Libia. Il Mediterraneo diveniva in questo modo un ambito strategico per l’Italia. Gli accordi petroliferi stipulati direttamente con i governi, offrendo royalties superiori a quelle praticate dalle multinazionali petrolifere, e la disinvoltura con cui si relazionò con l’Algeria, “cortile di casa” dei francesi, attirarono su Mattei quelle attenzioni che fecero da ombra alla sua tragica scomparsa e alla fine dei suoi disegni non solo economici ma anche politici: quelli di relazioni autonome dell’Italia in un Mediterraneo decolonizzato.

Quando venne trivellato il pozzo “Pontremoli 1”

Sono trascorsi poco più di cinquant’anni da quella ricerca di idrocarburi che aveva destato grande curiosità e suscitato molte attese nella comunità dell’alta Lunigiana e di Pontremoli in particolare. Era il 1971 quando non lontano da Dozzano, nella zona della strada che dalla Provinciale per Zeri scende alla Valunga, in loc. Case Baratti, la Montedison trivellò un pozzo a scopo esplorativo. Si ipotizzava che il sito potesse essere interessante per la possibile presenza di petrolio o metano e la ricerca rientrava all’interno di un progetto su ampia scala sul territorio nazionale. Il risultato tuttavia non fu quello sperato: arrivati alla ragguardevole profondità di 3.520 metri vennero trovate formazioni rocciose che escludevano definitivamente l’esistenza di gas o petrolio che se mai ci fosse stato era stato completamente consumato, combusto nell’era paleozoica. Il pozzo venne così chiuso, classificato come “sterile” e abbandonato. (p. biss.)

La politica energetica italiana, proprio nell’anno della morte di Mattei, ebbe un ulteriore punto di svolta con la nascita di Enel e la nazionalizzazione nel 1963 dell’energia elettrica. Enel fu fautrice della completa elettrificazione del Paese: un progresso sociale irrealizzabile con l’industria elettrica privata e che contribuì anche alla diffusione della piccola e media impresa sull’intero territorio nazionale, con una riduzione, nel decennio successivo, del costo dell’energia del 20%, sia grazie all’incremento dell’idroelettrico (tra il 1945 e il 1970 furono 160 le nuove dighe costruite in Italia), sia grazie all’ascesa delle centrali termoelettriche alimentate a combustibili fossili. La crisi petrolifera del 1973 e le spinte ecologiste degli anni ’70 spinsero a scelte di lungo periodo innovative ma rimaste incompiute. Nel 1987 un referendum popolare sancì l’uscita dell’Italia dal nucleare: una scelta compiuta in anni di crescita impetuosa dei consumi elettrici (+37% tra il 1981 e il 1991) di fronte alla quale il governo De Mita (1988) varò un Piano energetico nazionale con l’obiettivo di aumentare del 44% entro il 2000 la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.
La legge approvata l’anno successivo sulla promozione dell’efficienza energetica e sullo sviluppo delle rinnovabili rimase in gran parte inattuata. Una politica travolta da Tangentopoli e alle prese con la crescita del debito pubblico tra il 1994 e il 1998 privatizzò Enel e Eni: lo Stato limitandosi a partecipazioni di minoranza in due società non più attuatrici della politica energetica ma orientate a creare valore per gli azionisti con la quotazione in borsa, nei fatti rinunciò ad avere una politica energetica. La fragilità energetica del Paese, certificata dal blackout del 28 settembre 2003, troverà risposte parziali. L’abbandono, ancora timido, delle fonti fossili – petrolio e gas costituiscono ancora oggi il 70% dei nostri consumi – sarà indotto solo dalle direttive europee con le quali Bruxelles obbligò a migliorare efficienza energetica e incrementare l’impiego delle rinnovabili.
La corsa impetuosa e generosamente incentivata verso eolico e fotovoltaico permette di portare la dipendenza energetica dell’Italia dall’86% del 2006 fino al 76% del 2014: ancora troppo poco per sanare una situazione figlia di scelte miopi e tante imperdonabili omissioni.

Davide Tondani