Dal disastro della nave Concordia al futuro della Protezione civile

A dieci anni da quel maledetto venerdì 13 gennaio 2012 Franco Gabrielli, allora capo della Protezione civile, ha fatto uscire il suo libro (Naufragi e nuovi approdi. Dal disastro della nave Concordia al futuro della Protezione civile, Baldini+Castoldi, 2022, pp.168, euro 18,00) sul naufragio della nave da crociera Concordia, che “un improvvido nocchiero” portò a schiantarsi sugli scogli delle Scole a Isola del Giglio nell’arcipelago Toscano, completamente piegata su un fianco. A bordo c’erano 4.300 passeggeri, tra cui 200 bambini e 52 neonati. Le vittime furono 33, l’ultima ritrovata nelle operazioni di demolizione era il sommozzatore spagnolo Russell Rebello. Gabrielli mise tempestivamente in atto ogni possibile intervento: contattare l’armatore Costa, il governo, trasferire i passeggeri salvati dal personale di bordo e molto dai Gigliesi.
Per gestire il naufragio e i soccorsi, nominato solo dopo una settimana commissario per la gestione dell’emergenza, aveva già provveduto a coordinare le attività col prefetto di Grosseto e il comandante provinciale dei Vigili del fuoco Ennio Aquilino, formidabili operatori. La politica governativa non aveva curato il servizio civile, ora l’emergenza richiedeva risposte immediate, che furono decise, anche senza aspettare la cornice giuridica. Arrivato sull’isola Gabrielli trovò “un’incredibile professionalità, umanità, abnegazione, volontà di andare oltre i limiti da parte delle istituzioni locali, del Soccorso alpino e speleologico, dei volontari specializzati”, con rischi mai prima affrontati. Costa Crociere affidò subito alle imprese Smit olandese e Neri italiana di svuotare la nave di tutto il carburante, che era quasi il pieno. Le priorità erano tante e il tempo stringeva con previsto peggioramento meteo: trovare i dispersi dentro la nave, era urgente anche liberare l’isola dal gigantesco relitto affrontando problemi ingegneristici complessi e con il minor impatto ambientale.
Lo scafo veniva deformandosi pertanto fu deciso di sospendere le ricerche, venute meno le condizioni di sicurezza, una decisione necessaria ma difficile da accettare da parte dei familiari. Grande era il rischio di disastro ambientale. Una nave di quasi 300 metri di lunghezza e 35 di larghezza è stata per se stessa un danno ambientale, in sofferenza il fondale marino di un’isola del più grande parco marino d’Europa e il ripristino è ancora in corso. C’era il problema della stabilità del relitto che stava tra due speroni con rischio di sprofondare. Il pompaggio del carburante doveva esser fatto senza alterare il peso e l’assetto della nave adagiata sulla scogliera: la soluzione fu immettere acqua in quantità uguale ai liquidi in uscita di carburante e di altri liquami e materiali galleggianti e ancorare cassoni di contrappeso.
Il commissario straordinario Gabrielli non poteva aspettare le croniche lentezze e rimozione di responsabilità del Consiglio Superiore dei lavori pubblici. Per evitare il disastro di dilatare i tempi si prese la responsabilità in prima persona delle operazioni per raddrizzare la nave facendola arditamente ruotare su stessa: dopo aver allestito un falso fondale fu riportata in asse da un’inclinazione di 65°. Fu la più grande operazione mai realizzata. Finalmente la nave traghettata fece l’ultimo viaggio, non fu possibile l’ancoraggio nel porto di Piombino come avrebbero voluto i toscani, i fondali non erano adatti e per renderli tali sarebbero occorsi anni.
Il compito era liberare i Giglesi da quell’immenso ingombro sopportato fino al 27 luglio 2014, quando raggiunse Genova e qui fu demolito. Il libro documenta con precisione tecnica le operazioni in modo comprensibile a tutti. Le carte vincenti furono il rapporto franco e trasparente con gli isolani, magnifici nel dare soccorso e immediata accoglienza, l’esperimento di far operare in accordo pubblico e privato.

Maria Luisa Simoncelli