
Domenica 5 giugno – Pentecoste
(At 2,1-11 – Rm 8,8-17 – Gv 14,15-16.23-26)
Se ognuno si chiude ancora nei propri cenacoli impauriti, se sono tana le nostre chiese, se il mondo fuori ci sembra sempre più minaccioso è solo perché abbiamo capito che Dio è morto. E abbiamo capito bene. C’eravamo tutti quel giorno, quello dell’Ascensione, tutti a guardare il cielo mentre si riprendeva indietro la speranza, si rimangiava la promessa, natale al contrario, spenta la stella cometa, muto di dolore il nostro smarrimento. E mentre Lui tornava al Padre, e lo faceva senza pietà, in cielo, perché lo vedessimo tutti, dentro di noi si apriva un vuoto che nessuno avrebbe chiuso mai più, lo sapevamo, lo sentivamo. L’abbiamo odiato Gesù quel giorno di amore sottratto, anche se sapevamo che forse era giusto così. No, nemmeno la resurrezione avrebbe rimesso le cose a posto, che non si torna indietro dalla morte, nemmeno Dio può. Quel vuoto rimane lì, inchiodato al centro di ogni cosa, al centro di testa, cuore e sentimenti.
Qualcuno prova, ogni tanto, a riempirlo, costruiscono idoli più o meno credibili le religioni, provano a sedare l’urlo e lo fanno riempiendo, ma il vuoto è senza fondo, è senza fine, risucchia ridendo ogni nostro patetico tentativo.
Se ognuno di noi si chiude ancora in cenacoli di paura è perché il vuoto si è aggrappato con le unghie al nostro cuore e non lo molla un attimo, possiamo dimenticarcene, ma solo a tratti, possiamo negarlo, ma non convinciamo nemmeno noi stessi. Dio è morto, il mondo è vuoto e a noi… e a noi non resta che danzare. Ballare, danzare con il vuoto, con quello spazio che convive in noi, che ci fa disperare.
Danzare, buttarci a capofitto in avventure senza ritorno, fare male e farci male, innamorarci, spaventarci, giurare e ricominciare. Non ci resta che ballare con quel vuoto, mentre le religioni continuano a riempire, noi proviamo ad abbracciarlo, a sentire che è parte irrinunciabile di noi. Lo ha detto bene Gesù. Quel vuoto non lo riempiremo se non con sporadici passi di danza, con intuizioni, anticipi di quando anche noi cammineremo in bocca al cielo, che la morte non è altro che l’estremo passo di danza di questa cosa che chiamiamo vita. “Lo Spirito Santo vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà quello che vi ho detto”, con l’Ascensione il Signore lascia un vuoto incolmabile in noi, ma grazie a quel vuoto ecco lo spazio per un Segno. Siamo come caverne su cui qualcuno lascia un segno, un segno del Suo passaggio, un Segno del nostro destino ultimo: siamo fatti della stessa sostanza del Cielo, siamo fatti di Infinito. Dobbiamo ricordarcene. Ecco perché lui “insegnerà” e “ricorderà”, ogni uomo è nato sotto il segno del Cielo, ogni uomo è al mondo per suscitarne memoria.
don Alessandro Deho’