Parlare della donna equivale a parlare dei problemi di tutti: l’insicurezza per il futuro, la crisi della politica e della democrazia, il confronto lacerante fra ricchezza e povertà e le troppe disuguaglianze fra i sessi. Le donne intercettano per prime gli smottamenti provocati dai cambiamenti radicali nella famiglia, nei rapporti sociali, nella globalizzazione, che entra rapidamente nelle case con i volti delle donne immigrate.
Su di loro si scarica gran parte della fatica di gestire la sfida del declino demografico, la cura dei nostri vecchi non autosufficienti e l’avventura impegnativa di crescere i figli dando valore al domani. Più che in passato, le donne fanno i conti con l’impossibilità di conciliare l’autonomia professionale e il desiderio di famiglia, la qualità del lavoro e la qualità della vita. Troppo spesso la creatività, le competenze, l’intelligenza femminili si scontrano con sistemi lavorativi penalizzanti. Trovano un impiego più tardi e lo perdono prima degli uomini, sono ammesse ai ruoli direttivi con il contagocce e, più dei colleghi, devono fornire le prove della loro bravura. Vecchi ostacoli che si aggiungono alle novità di una stagione segnata dal venir meno di una solida cornice di sicurezze sociali.
La precarietà, in tale contesto, è donna e se la condizione femminile è divenuta anche la cifra di una nuova condizione umana, più fragile, più esposta alle ingiustizie, per superare il disagio complessivo del Paese è necessario ripartire dalla “metà del cielo”. Per ottenere ciò, c’è bisogno di dare più voce alle donne nelle istituzioni, nei partiti, ai vertici delle organizzazioni sociali; servono nuovi contenuti e nuove forme, collocandoci sulla frontiera dei valori fondamentali, delle cose che contano per davvero, rovesciando l’ordine delle priorità. Eppure, nonostante le umiliazioni imposte anche da alcune ideologie e religioni, la donna è sempre stata una forza creatrice, sia perché è lei che concepisce e a partorisce una nuova vita, sia pure perché, anche nei tempi più bui, ha continuato a coltivare e a profondere le sue doti ed abilità, lanciando cuore e mente oltre le difficoltà, arrivando agli innumerevoli modelli odierni che hanno portato lustro in ogni settore.
Se ciò è vero, è però altrettanto vero il fiume di violenza che si riversa sulle donne, ad ogni livello, indipendentemente dai ceti sociali. Vittime innocenti di uomini mai cresciuti, che covano odio fra le mura domestiche. Il freno della disuguaglianza gronda sangue e grida l’affermazione del valore “persona”, ad ogni latitudine. Il mondo ha bisogno del coraggio delle donne, della loro capacità di condivisione, di ascolto, di dialogo… così come loro hanno bisogno di rispetto, di amore, di comprensione. C’è bisogno di quel “genio femminile” di cui parlava S. Giovanni Paolo II nella “Mulieris dignitatem”.
Per realizzare una società più giusta e capace di riconoscere la dignità di ogni donna e di ogni uomo. Ed allora, l’otto marzo, anche la mimosa avrà il giusto significato.
Ivana Fornesi