Il  Vocabolario della lingua dialettale pontremolese

In libreria il volume di Luciano Bertocchi: 544 pagine che contengono 36.200 parole

Salvaguardare e tramandare la lingua della nostra tradizione, un patrimonio fatto di parole, immagini, suoni di un mondo che rischia di estinguersi con il succedersi dei tempi e delle generazioni. 
È per raggiungere questo obiettivo che un appassionato cultore del dialetto pontremolese, il professor Luciano Bertocchi, ha dato recentemente in stampa per le Edizioni “Il Fiorino”, il primo “Vocabolario della lingua dialettale pontremolese” con i termini dialettali che vengono proposti con l’equivalente significato in lingua italiana. 
Si tratta di un’opera dal grande valore culturale che ha richiesto a Bertocchi un grande impegno “Otto anni di lavoro – spiega il professore – per individuare qualcosa come 36.200 parole con i loro significati immediati e figurati, oltre che gli opportuni esempi nell’uso, per un totale di 544 pagine”. 
Tutto questo perché “pur essendo ormai strumento di uso limitato, il pontremolese resta comunque una lingua viva, con gli stessi valori comunicativi che possedeva quando non erano disponibili altre possibilità di contatto e il dialetto era lo strumento privilegiato, se non spesso l’unico, per comunicare”.
Del resto il dialetto pontremolese, così come tanti altri dialetti, rappresenta la storia ed il passato della sua comunità; parole e suoni che hanno subito modifiche a causa della presenza delle diverse dominazioni succedutesi nel tempo. Il vernacolo, parlato soprattutto dalla gente povera ed analfabeta, dopo l’unità d’Italia e l’adozione della lingua italiana quale lingua ufficiale, viene considerato lingua volgare, tanto da essere quasi bandito nelle scuole quale causa di deviazione nell’apprendimento della lingua nazionale. Successivamente le nuove generazioni, spinte dalla necessità di risalire alle proprie origini, hanno scoperto nelle parole e nelle frasi dialettali la storia del proprio passato.
Insomma il pontremolese, seppur sempre meno usato anche degli stessi cittadini nati all’ombra del Campanone, mantiene comunque una sua vivacità anche perché, caso forse isolato nella Lunigiana, “esiste una vera e propria tradizione poetica dialettale che è in grado di proporre alcuni riferimenti in cui la popolazione riesce immediatamente a ritrovarsi. Basti ad esempio pensare all’inno cittadino ‘Al Kampanun’ di cui tutti i pontremolesi conoscono e possano cantare almeno la prima strofa”.
E come avrete notato, per rendere la parola Campanone nella sua trascrizione dialettale, Bertocchi ha usato la lettera k. Una scelta ponderata dal professore (“inusuale ma che ritengo opportuna”) legata alla decisione di differenziare la c affricata sorda (quella di cesto, cena, cinema) con la c occlusiva velare (casa, corte, cuore, chitarra) con la prima che viene resa al naturale mentre la seconda con la k. Quindi, per semplificare, tutte le parole che iniziano per ca, co, cu o ch sono state inserite nel vocabolario alla lettera k, che, infatti, è insolitamente ampia rispetto agli standard dei tradizionali vocabolari ed una lettera c, al contrario, singolarmente ristretta. 
Altro aspetto messo in luce è il problema molto diffuso nel pontremolese dell’oscillazione tra le lettere o e u. Fatto che si presenta in molti casi, in cui l’etimo di base è usualmente con la o (porta) mentre nei derivati compare la u (purtun, purtier, spurtel). Non meno significativa l’oscillazione che si propone in particolare nelle parole composte dal prefisso ri, che indicano l’idea di reiterazione (rifare, ridare) che in pontremolese si trasforma in ar (arfer, arder), modifica che si verifica anche in forme verbali inizianti con ra o re (raccontare diventa arkunter, regalare argaler).
L’obiettivo del prof. Bertocchi è quindi quello di recuperare un bagaglio di memorie “con tutti i loro significati storici ed etnografici ed inserite in un contesto cui fare riferimento per tentare di ridare vita ad una lingua parlata in tutti i sensi”. Un vocabolario che si vuole porre come supporto a quanto vorranno provare a ritrovare la strada sulla quale è passata, nei secoli, una lunga generazione di pontremolesi “dando spazio alle parole di ieri per rigenerarle alle esigenze dell’oggi”.
Il testo è introdotto da un prezioso saggio dello stesso Bertocchi e corredato da suggestive immagini d’epoca di Pontremoli. Ma il viaggio che ci propone Bertocchi non è solo linguistico, è anche storico culturale, con le parole del vocabolario che sono arricchite di esempi pratici, come il caso della parola “bun” (buono, bene) con il calzante esempio “dagh un bucer d’kal bun” (dacci un bicchiere di quello buono) frase che senza dubbio sarà stata ripetuta più di una volta nelle osterie di Pontremoli. E ancora sono presenti delle vere e proprie descrizioni, come ad esempio l’ampia narrazione della disfida tra il rione di San Nicolò e di San Geminiano in merito alla parola falò.
Insomma un vocabolario che si presenta come un punto di arrivo e di partenza per i vecchi e i giovani per rilanciare la lingua dei nostri padri.   (r.s.)