Le contraddizioni di un ottimismo forzato sulla pandemia da Covid-19
I contagi da Covid-19 hanno subito nelle ultime due settimane un visibile rallentamento, così come i tassi di occupazione dei pazienti contagiati dei reparti ospedalieri e delle terapie intensive: notizie incoraggianti alle quali si è affiancata una comunicazione istituzionale, replicata all’unisono da tutto il sistema dei mass-media, tesa a infondere fiducia sulla fine dell’epidemia. L’allentamento delle misure di distanziamento previste da qui a Pasqua è significativo nei luoghi di vita sociale: cinema, teatri, stadi, ristoranti. 
Questa profusione di ottimismo, qua e là accompagnata dalla stigmatizzazione di chi adotta ancora un livello alto di cautela, non può tuttavia sottrarre spazio ad un bilancio delle misure intraprese da quando la variante “omicron” ha fatto la sua comparsa in Italia. I numerosi decreti in poche settimane dopo una lunga inerzia, le confusioni interpretative, la scelta di non varare misure restrittive sostanziali nemmeno al termine della stagione commerciale del Natale, l’opposizione al ritorno allo smart working nel pubblico impiego, gli uffici sanitari in tilt e il caos nelle scuole sono rappresentativi della scelta politica, non dichiarata, di bilanciare salute collettiva ed esigenze socio-economiche privilegiando quest’ultime.
Difficile capire se i 15.587 mila decessi avvenuti dal primo gennaio al 20 febbraio siano stati considerati dal decisore politico come il fisiologico prezzo da pagare per queste scelte o una cifra ben superiore alle attese: forse possono fornire una risposta indiretta l’insistenza con la quale da più parti si chiede di ricalcolare i decessi secondo parametri riduttivi o il tentativo (sventato) di interrompere i bollettini sanitari quotidiani, come se la trasparenza della informazione non fosse l’elemento portante di una democrazia in stato di emergenza.
Di certo, c’è la contraddizione tra una narrazione tranquillizzante di questa fase pandemica e ottimista per il futuro e un provvedimento estremo come la sospensione dei diritti costituzionali al lavoro e alla retribuzione in assenza di green pass. Ribadire, senza esitazione, i meriti indiscussi del vaccino nell’attenuare gli effetti del virus e sottolineare quanto non vaccinarsi sia sbagliato per sé e per la collettività non autorizza a spingersi a provvedimenti che richiamano tempi bui della storia italiana. La sospensione dal lavoro rappresenta un pericoloso punto di non ritorno, a maggior ragione con una percentuale di vaccinati che supera il 90%. Provvedimenti meno dirompenti incentivanti la vaccinazione avevano già fornito risultati incoraggianti. Perché allora il governo ha scelto una linea così dura, oltretutto quando era appurato che la nuova variante era veicolata anche dai vaccinati?
Sono domande a cui un giorno sarà necessario rispondere. Gli errori di una minoranza non giustificano qualsiasi decisione da parte della maggioranza, che ha sempre il dovere di cercare di essere giusta.                
(d.t.)