
Domenica 19 dicembre – IV di Avvento
(Mic 5, 1-4 – Eb 10, 5-10 – Lc 1, 39-48)
“Un corpo invece mi hai preparato”. “Invece”, invece delle infinite riduzioni impaurite delle chiese di tutti i tempi. Invece di ridurre tutto a anima, a sentimento vago, a voli di angeli innocui. Invece di rendere tutto una teoria da dimostrare. Invece dello spiritualismo delle apparizioni. Invece dei sentimenti che non incidono nella carne. Invece: un corpo mi hai preparato. E vorrei gridare con libertà e gioia in faccia a chi ancora è schiavo delle mille paure e delle mille castrazioni millenarie: il Divino si è fatto corpo. E un corpo ha preparato a ognuno di noi perché è proprio lì che vuole farsi incontrare. Il corpo che fa l’amore è divino. Non possiamo dire di aver scoperto Dio se teniamo coperto il corpo. La ricerca di Dio non può più essere immaginata slegata dalla nostra carne.
Il Vangelo di oggi. È la storia di un Dio che sceglie di abitare un corpo. Non una Chiesa, non un’Arca, non un’Istituzione ma il corpo. Perché il corpo vive e cambia e cresce. Il corpo di Elisabetta, che deve rimettersi a fare la madre invece della nonna. Sperava in una santità di preghiere e incenso e invece “un corpo mi hai preparato” e sono i patemi della vita che cambia. Maria, pur con tutta la retorica di duemila anni rimane madre, abbiamo fatto l’impossibile per disincarnarla, svolazzante apparizione, ma lei rimane un corpo. Un ventre fecondo da ascoltare. Il corpo di una madre che perde un figlio che poi prova a ritrovare. Il corpo di una madre che sul suo ventre, sotto la croce, appoggerà un cadavere troppo giovane. Una donna chiamata a cercare il divino in Giovanni, un altro corpo. Perché un “corpo invece mi hai preparato” e non è mai come ce lo aspettiamo. Occorre imparare ad ascoltarlo, il Corpo, di Cristo.
don Alessandro Deho’