Fondi europei solo per  costruire nuove carceri

Zero risorse per le pene alternative. Nelle case di reclusione italiane mancano educatori e personale per attuare programmi diversi dalla semplice detenzione

Carcere di Rieti (foto Next New Media e Antigone)

C’è una linea dei 200 miliardi di fondi in arrivo con il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) di cui si discute quasi nulla: parliamo delle risorse che il governo intende spendere sul sistema delle carceri. Si tratta di 132,9 milioni di euro, utilizzabili dal 2022 al 2026 per la “costruzione e il miglioramento di padiglioni e spazi per le strutture”: in sostanza, si legge nella documentazione parlamentare reperibile sul sito della Camera dei deputati, si tratta di costruire 8 nuovi padiglioni per detenuti adulti “allo scopo di migliorare la qualità dell’esecuzione della pena, favorendo le attività lavorative, contrastando sovraffollamento e recidiva” e di ristrutturare 4 istituti penali per i minorenni, per incrementare efficienza energetica e antisismica. Ad una visione superficiale si tratta di interventi positivi, alla luce del cronico sovraffollamento delle carceri italiane: gli ultimi dati parlano di 113 detenuti ogni 100 posti effettivi e, in numeri assoluti, di circa 6.500 reclusi di troppo all’interno di una popolazione carceraria di 54 mila detenuti. I nuovi padiglioni dovrebbero quindi alleviare le criticità emerse negli ultimi anni.

In carcere anche donne e minori

Carcere fiorentino di Sollicciano (foto di Pietro Snider per Next New Media e Antigone)

Nei suoi rapporti sulla realtà carceraria, l’associazione Antigone informa anche sull’universo femminile del carcere. A metà 2021 le donne detenute erano 2.228 (il 4,2 per cento del totale dei carcerati), recluse in quattro istituti penitenziari esclusivamente femminili in cui attualmente vi sono 528 donne. Le rimanenti sono recluse in 43 sezioni femminili collocate all’interno delle carceri maschili.
Il ministero della Giustizia, nel suo rapporto del 2015 sulla detenzione femminile, affermò che la maggior parte delle detenute vive una realtà che è stata progettata e costruita “da uomini per contenere uomini”: in molti casi le donne “sono lontane dalle loro famiglie”, hanno necessità di salute particolari e “i loro bisogni specifici, in buona parte correlati ai bisogni dei loro figli, sono spesso disattesi”.
È in questo contesto che si registra la presenza in carcere di 29 bambini e bambine di età inferiore ai tre anni che vivono insieme alle loro madri detenute. Completano il panorama carcerario italiano i 17 Istituti Penali per i Minorenni – uno di questi è quello femminile di Pontremoli – dove scontano la pena detentiva, solo quando tutte le altre soluzioni alternative non sono percorribili o si sono rivelate fallimentari, 285 minori e giovani adulti, la maggior parte dei quali con età compresa tra i 16 e i 20 anni. Ad essi si affiancano circa 13 mila giovani in carico ai servizi della giustizia minorile degli Uffici di Servizio Sociale per i Minorenni.

Difficile dimenticare le rivolte carcerarie a inizio pandemia, che provocarono 14 morti tra i detenuti in protesta per l’impossibilità di vedersi garantiti spazi di distanziamento sociale, così come le immagini delle violenze subite dai reclusi nel carcere di Santa Maria Capua Vetere; senza dimenticare i suicidi (61 nel 2020) e i tentativi di suicidio, ma anche le condizioni di stress estremo a cui sono sottoposti, al di là degli abusi emersi, i lavoratori di Polizia Penitenziaria.
Ma basterà davvero un ammodernamento delle strutture per risolvere una situazione così critica? Certamente interventi di restauro sono necessari. L’associazione Antigone ha recentemente denunciato, dopo la visita di 67 carceri, condizioni igieniche precarie, celle con il wc a vista, senza doccia, acqua calda e riscaldamento, schermature alle finestre che impediscono il passaggio di aria e luce naturale. A Santa Maria Capua Vetere si è riscontrata la non potabilità dell’acqua.

Carcere di Milano San Vittore (foto di Pietro Snider per Next New Media e Antigone)

Ma un rinnovamento delle strutture non può coprire i problemi più profondi della politica detentiva. I carcerati nel 1990 erano 24 mila, dieci anni dopo 53 mila e nel 2010 oltre 67 mila. Al 31 ottobre 2021 i detenuti presenti nelle carceri italiane erano 54.307. Numeri che non sono la conseguenza di una crescita dei reati, ma della scelta di impiegare il sistema carcerario come luogo in cui isolare drammi sociali e umani che necessitano di altri interventi: un quarto dei carcerati, ad oggi, sono tossicodipendenti, persone, secondo l’associazione Antigone “che andrebbero prese in carico dai servizi territoriali per affrontare la loro problematica e non chiusi in un carcere”.
Inoltre, nei 189 penitenziari italiani sono recluse circa 7 mila persone che hanno da scontare pene entro un anno, 7 mila entro i due e altre 5 mila con pena residua sino a tre anni: persone che potrebbero ottenere delle misure alternative al carcere – detenzione domiciliare, semilibertà, affidamento in prova – ma che non possono uscire perché, per la maggior parte, non hanno riferimenti sociali, una casa o una famiglia. Si rimane in carcere, quindi, non per motivi di sicurezza ma perché indigenti o socialmente esclusi. Non è un caso che tra i reclusi in attesa di giudizio gli stranieri sono la maggioranza.
La Ministra della Giustizia, Marta Cartabia, ha delineato il carcere come misura residuale per l’esecuzione della pena, istituendo anche una commissione per l’innovazione del sistema penitenziario. Segnali di attenzione che però si scontrano con un’altra realtà.
La prima è la carenza degli organici per sostenere le pene alternative al carcere: a fronte di 69 mila misure e sanzioni alternative alla detenzione, l’organico prevede solo 1.700 professionisti del servizio sociale. “La sproporzione è evidente” ha ammesso Cartabia rispondendo ad una interrogazione parlamentare. Ma anche per chi rimane in carcere, la funzione rieducativa della pena sancita dalla Costituzione è qualcosa di molto astratto. Il sistema penitenziario italiano conta un agente ogni 1,6 detenuti – il 68% dei 3 miliardi di spesa pubblica per le carceri riguarda la Polizia penitenziaria – ma solo un educatore, mediatore o psicologo ogni 91,8 reclusi: numeri che certificano l’inadeguatezza di un sistema carcerario ad assolvere la sua missione, anche se con nuovi e più moderni padiglioni finanziati con i fondi post-pandemia.

(Davide Tondani)