
Dati preoccupanti dal Rapporto dell’Ispettorato sulle dimissioni delle lavoratrici con figli
Quarantamila lavoratrici e lavoratori genitori di bambini fino a tre anni hanno dato dimissioni volontarie dal loro posto di lavoro nel 2020. Nel 77% dei casi (quasi 31 mila) le dimissioni riguardano lavoratrici. A certificare questi dati drammatici è la “Relazione annuale sulle convalide delle dimissioni e risoluzioni consensuali delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri” pubblicata annualmente dall’Ispettorato nazionale del lavoro da quando, nel 2001, il Decreto Legislativo n. 151 prevede, per arginare l’odiosa pratica delle “dimissioni in bianco”, che la risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice durante il periodo di gravidanza e dalla lavoratrice e dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino, siano convalidate dall’Ispettorato.
Il 75% delle risoluzioni dei rapporti di lavoro riguarda lavoratrici e lavoratori di età tra i 29 e i 44 anni; il 61% dei lavoratori e delle lavoratrici che hanno lasciato il lavoro ha un figlio, il 32% ne ha 2 e il 7% più di 2. Nell’88% dei casi, si lascia il lavoro con meno di 10 anni di anzianità di servizio. Nel 38% dei casi, la motivazione addotta è la difficoltà di conciliazione tra lavoro e cura dei figli.
Tra le risposte rilasciate sulla modulistica dell’Ispettorato, nel 27% dei casi la conciliazione tra lavoro e famiglia è resa impossibile dall’assenza di parenti di supporto; nell’8% dei casi dagli elevati costi di assistenza dei neonati (parliamo ad esempio di rette dell’asilo nido o baby-sitter), nel 2% dal mancato accoglimento al nido. Un altro 20% dei lavoratori e delle lavoratrici dimissionarie adduce tra le ragioni dell’abbandono dell’occupazione l’indisponibilità di servizi di assistenza o ragioni di carattere organizzativo riferite al proprio contesto lavorativo. Inoltre, le motivazioni delle dimissioni nascondono una profonda differenza di genere: il recesso per le difficoltà di essere genitore e contemporaneamente lavoratore o lavoratrice, nel 98% dei casi riguarda le donne, così come nel 96% delle motivazioni legate all’organizzazione del lavoro.
Al contrario, il passaggio ad altra azienda è il motivo delle dimissioni nel 77% dei casi tra gli uomini e solo nel 17% dei casi tra le donne. Solo il 7,5% dei lavoratori uomini indica come motivo di recesso le difficoltà di conciliazione tra lavoro e famiglia. Il Rapporto dell’Ispettorato riassume in maniera esplicita: in presenza di figli aumenta l’inattività occupazionale delle donne e diminuisce quella degli uomini. In sintesi, al di là della retorica sulla promozione e sulla difesa della famiglia, essere madri e lavoratrici è impresa ostica: troppo spesso occorre scegliere tra figli e lavoro, in assenza di un welfare pubblico, fatto di servizi capillari ed accessibili.
Ma sono anche i diritti sul lavoro ad essere deboli: dai dati dell’Ispettorato emerge che 2.028 lavoratrici madri/lavoratori padri interessati dalle convalide hanno presentato richieste di part-time o flessibilità, ma solo nel 30% dei casi la richiesta è stata accolta. La controprova della scarsa tutela giuridica dei lavoratori con prole l’ha offerta il tragico periodo pandemico: la legislazione di emergenza varata durante il lockdown, costituita essenzialmente da lavoro a distanza e congedi straordinari, ha ridotto le dimissioni volontarie del 18% nel 2020 rispetto al 2019.
Eppure di questa esperienza non si è voluto tenere conto: troppi gli interessi economici pregiudicati da un’espansione ragionata del lavoro da remoto, in cui i genitori possono tagliare i tempi e le scomodità del viaggio per dedicare alla famiglia il tempo liberato o rimodulare gli orari sulla base di obiettivi da raggiungere. In pericolo non ci sono solo le legittime aspirazioni femminili all’autorealizzazione anche al di fuori di quelle mura domestiche in cui certe correnti nostalgiche (anche cristiane) vorrebbero nuovamente rinchiuderle.
C’è, soprattutto, un problema che tocca tutti da vicino: questa situazione va a riflettersi negativamente sulla natalità, che ha raggiunto nel 2020 il livello più basso di sempre (404 mila nuovi nati), con stime per il 2021 in ulteriore calo (384 mila nascite previste): senza misure adeguate, anche sotto il profilo lavorativo la curva demografica proseguirà la sua discesa, con effetti devastanti per l’intera società.
(Davide Tondani)