
Riflessioni a margine della promulgazione del Motu proprio di Papa Francesco
Il 16 luglio il Santo Padre ha firmato la Lettera Apostolica in forma di Motu proprio “Traditionis custodes”, sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma del 1970. Questa promulgazione, come era prevedibile, ha suscitato esultanza nell’ala progressista della Chiesa, e scandalo in quella tradizionalista. Si sono letti articoli di rinomati teologi, che ora esaltavano la decisione del Pontefice, o la smontavano. Sono molte le prospettive da cui affrontare il tema centrale del dibattito circa l’opportunità e la liceità sulla celebrazione della Messa “Vetus ordo”: liturgico-rituale, teologica, canonica, ecumenica, sentimentalistica… ma mi sembra di non trovare mai riferimento ad un impianto di tipo ecclesiologico.
Questa forma di “bi-ritualità” fa bene, ha fatto bene, alla Chiesa e alla sua vita? La Chiesa convocata (congregavit nos in unum, dice il bel canto dell’Ubi caritas) per celebrare i Sacramenti, ed in modo speciale l’Eucaristia, sotto la presidenza del Vescovo o del presbitero, attua il memoriale della Morte, Passione e Risurrezione del Signore, affinché, come attesta mirabilmente Sacrosanctum Concilium: “dal costato di Cristo dormiente sulla croce è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa” (n. 5).
“L’Eucaristia fa la Chiesa”, ma in quale Chiesa viviamo e quale Eucaristia confezioniamo? Si invoca, come principio fondamentale dell’uso o della messa al bando della Forma straordinaria del rito romano, quello della salvezza delle anime, o del bene del popolo di Dio, ma è veramente così? Mi sembra che ormai anche nella Chiesa si sia fatto posto all’opinionismo becero della Tv spazzatura, dove ciò che è importante è l’opinione personale. Ma per quanto ricordi, nella vita ecclesiale, il principio dell’opinione cozza con la pretesa teologica del principio di verità (d’altronde siamo Figli di Colui che ha affermato: “Io Sono la Verità” Gv 14,6). La Liturgia senza la Chiesa è morta! E questo è ciò a cui stiamo assistendo. La Liturgia della Chiesa non è più “il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia ” (SC 10) perché viene a mancare il grembo materno che la genera.

Papa Francesco celebra la Messa per la Domenica delle Palme.
Ognuno, spesso anche i pastori, si ergono a artisti improvvisati che vogliono ridisegnare il volto della Chiesa secondo i propri gusti o le mode e le aspettative del tempo. Piegando anche, e soprattutto, la Liturgia, a questi scopi. Il principio della incarnazione (che poi nella pratica prende il nome di inculturazione) prevede che la Chiesa, con le sue forme (anche con la Liturgia) parli all’uomo contemporaneo, ma non che diventi complice delle perverse logiche commerciali.
La scelta magnanima e misericordiosa di Benedetto XVI – che, con il Motu proprio Summorum Pontificum, aveva reso più accessibile l’utilizzo della forma rituale precedente a quella della Riforma conciliare – si è dimostrata controproducente. Troppi hanno accolto questa concessione (perché di questo si tratta) come l’occasione per vivere una Chiesa parallela. Ci si è così trovati davanti a una situazione ancora più pericolosa di quella che tante volte sperimentiamo con i cosiddetti abusi liturgici. Il punto è proprio questo: nella forma ordinaria del Rito romano, “la nuova Messa”, la Chiesa ci ha consegnato tutto ciò che è necessario per la vita cristiana. È vero che molti preti, e comunità, spesso piegano la Liturgia alle proprie idee o ideologie rendendola uno spettacolo indecoroso, ma non è l’esasperazione contraria che può portare alla “salvezza”. Il problema è più ecclesiologico che liturgico, è il senso di appartenenza alla Chiesa e il conseguente servizio nella Carità che viene a mancare e rende la Liturgia vuota e insignificante. Perché non è Carità solo assistere i bisognosi, ma lo è anche il rispetto di ciò che non ci appartiene, il bene comune, il deposito della fede, di cui è parte anche la Liturgia. Lo stesso Benedetto XVI con l’Esortazione post-sinodale Sacramentum charitatis aveva consegnato alla Chiesa una strada da percorrere per evitare ogni forma di eccesso e così riscoprire la fonte ecclesiale della Liturgia.

Al n° 38 ss. dell’Esortazione il Papa, oserei dire coraggiosamente, introduce il concetto di “arte del celebrare” motivandola così: “il primo modo con cui si favorisce la partecipazione del Popolo di Dio al Rito sacro è la celebrazione adeguata del Rito stesso. L’ars celebrandi è la migliore condizione per l’actuosa participatio. L’ars celebrandi scaturisce dalla obbedienza fedele alle norme liturgiche nella loro completezza, poiché è proprio questo modo di celebrare ad assicurare da duemila anni la vita di fede di tutti i credenti, i quali sono chiamati a vivere la celebrazione in quanto Popolo di Dio, sacerdozio regale, nazione santa (cfr 1 Pt 2,4-5.9)”.
Per una celebrazione degna di questo nome è necessario imparare a celebrare: conoscere la Liturgia, i suoi linguaggi, le sue dinamiche e saperla condurre dentro la vita concreta della Chiesa e della sua gente. La Chiesa per vivere la Liturgia come dinamica sorgiva ha, lungo i secoli, individuato forme di sostegno e di approfondimento. Nella stessa Esortazione il Papa indica nella Catechesi mistagogica lo strumento più adatto per riscoprire il valore ecclesiale della Liturgia, infatti: “la grande tradizione liturgica della Chiesa ci insegna che, per una fruttuosa partecipazione, è necessario impegnarsi a corrispondere personalmente al mistero che viene celebrato” (SCh 64).
Solo prendendo sul serio l’Ars celebrandi e il cammino mistagogico che ne consegue, mettendo da parte le proprie idee (spesso modeste e poco illuminate), si potrà tornare ad un’esperienza liturgica che sia reale comunione con Dio e con i fratelli e non occasione di divisione e di scontro. Papa Francesco è stato costretto a mettere ordine in un disordine spesso ideologico e divisore, ma solo le comunità con i loro pastori potranno mettere pace nella babele ecclesiale e liturgica che dopo il Concilio, per un’erronea interpretazione si è venuta a creare, e questa pacificazione passa per la via dell’Ars Celebrandi: “la migliore catechesi sull’Eucaristia è la stessa Eucaristia ben celebrata”(SCh 64).
Don Samuele Agnesini
direttore dell’Ufficio Liturgico Diocesano