
Cammino sinodale e conseguenze del Covid tra i temi affrontati nell’assemblea della Cei a Roma
L’avvio di un cammino sinodale; la preoccupazione per le ferite alla società italiana; l’impegno ad una concreta “prossimità” con le vecchie e nuove difficoltà rese visibili dall’epidemia. Sono questi i tre punti salienti su cui si è concentrata la 74° assemblea dei vescovi italiani, la settimana scorsa. Tenutosi all’Hotel Ergife anziché in Vaticano, per garantire il rispetto delle normative sanitarie, il consesso episcopale si è riunito in plenaria dopo la sospensione del 2020, con un’agenda tesa a confrontare la propria missione evangelizzatrice con una realtà del tutto nuova.
Sul fronte sinodale, l’“amnesia” – parola usata con risolutezza dal Papa aprendo l’assemblea – della Chiesa italiana (episcopato e laicato: nessuno escluso) rispetto al discorso che Francesco tenne al Convegno ecclesiale di Firenze, ha lasciato il posto ad una consapevolezza diversa. Il cardinal Bassetti ha definito il cammino sinodale «quel processo necessario che permetterà alle nostre Chiese di fare proprio, sempre meglio, uno stile di presenza nella storia che sia credibile ed affidabile». La sfida del sinodo italiano, che si intreccerà e coordinerà con il percorso che condurrà la Chiesa universale al Sinodo dei Vescovi del 2023, sarà quello di fare della sinodalità uno stile permanente e un’opportunità di conversione ecclesiale, come più volte espresso da Papa Bergoglio.
Costruire percorsi che diano voce alle specificità delle comunità ecclesiali presenti in Italia, nel perimetro di una Chiesa finalmente plurale e inclusiva, espressione del Popolo di Dio è l’altro grande obiettivo che emerge. Ma l’episcopato italiano non poteva non porre attenzione alla situazione di un Paese le cui difficoltà sono state amplificate enormemente dalla pandemia. Al di là del fortissimo impatto sanitario, i dati della Caritas – “antenna” della Chiesa italiana sui problemi sociali – hanno portato l’assemblea dei vescovi ad affermare la necessità di un grande sforzo a sostegno di famiglie, imprese, giovani e esclusi.
I 200 vescovi riuniti all’Ergife hanno sottolineato come, durante la pandemia, lo sguardo verso le “ferite della società” si è fatto aiuto dinnanzi ai bisogni di poveri e nuovi poveri, con una risposta tempestiva e creativa. Caritas parrocchiali e diocesane, centri di ascolto, gruppi del volontariato cattolico, parroci, associazioni si sono attivati su una molteplicità di fronti: dai senza fissa dimora agli empori della solidarietà; dai lavoratori precari senza ammortizzatori sociali a bambini e giovani senza strumenti per la didattica a distanza, per fare solo alcuni esempi.
Il tutto in un periodo in cui le parrocchie si sono viste chiudere i consueti canali di finanziamento economico a causa del lockdown: il contributo straordinario della Cei per venire incontro a queste situazioni è stato di 200 milioni nel 2020, altri 60 stanziati per il 2021. L’imponente sforzo umano ed economico che le comunità cattoliche italiane hanno offerto al Paese in questa fase emergenziale, non può nascondere che il Covid ha tolto il velo ad alcune dinamiche latenti nella Chiesa. I vescovi italiani hanno preso atto, per esempio, della riduzione della partecipazione attiva alle celebrazioni e alla vita ecclesiale.
Nell’assemblea episcopale l’atteggiamento, di fronte a questo problema, è stato comunque resiliente. In pandemia è emersa, all’interno di una società non più cristiana, una “domanda di Dio” vista come occasione propizia per i progetti futuri ma soprattutto per un rinnovamento della Chiesa: temi che necessariamente dovranno essere centrali nel futuro cammino sinodale.
Un percorso davvero “dal basso verso l’alto”
Per la Chiesa italiana fare della sinodalità, laici e presbiteri assieme, uno stile permanente, come indicato più volte dal Papa, è un obiettivo sfidante. A oltre 50 anni dal Concilio la corresponsabilità del Popolo di Dio (un popolo sacerdotale, profetico e regale, dice il Catechismo) fa ancora i conti con un clericalismo ben radicato, ed è ancora presente l’eredità di un quarto di secolo di protagonismo a 360 gradi dei vertici della Cei a discapito del ricco tessuto di santità della Chiesa italiana.
Data questa realtà, sarà necessario costruire le giuste premesse per intraprendere un percorso di discernimento così esigente.
La prima di queste consiste nel chiarire se la Chiesa italiana si appresta a celebrare un Sinodo o a intraprendere un non meglio definito “cammino sinodale”, termine usato nel comunicato finale dell’Assemblea generale. Il Sinodo per sua natura ha regole, tempi, obiettivi e procedure ben codificati; il cammino sinodale, fatte salve ulteriori specificazioni, sembrerebbe assomigliare alla generica assunzione di prassi e stili non meglio definiti, con esiti del tutto incerti.
Il secondo presupposto riguarda l’agenda dei contenuti. In conferenza stampa il cardinal Bassetti ha dichiarato che il cammino sinodale affronterà “i problemi di fondo della nostra gente: la solitudine, l’educazione dei figli, le difficoltà di chi non arriva a fine mese per la mancanza di lavoro, l’immaturità affettiva che porta le famiglie a disgregarsi”, temi importanti per una Chiesa che vuole essere “in ascolto delle donne e degli uomini di oggi” (e che per essere tale non potrà omettere la fatica di confrontarsi su se stessa, oltre che sulla società), ma che devono essere individuati non dal solo presidente dell’episcopato, ma all’interno di un percorso di ascolto e di dialogo dentro la comunità ecclesiale.
In questo sta l’essenza di un Sinodo: nel coinvolgere senza paura e senza riserve il popolo di Dio che – sono parole dello stesso Bassetti – “è infallibile in credendo” in un cammino che, il Papa lo ha ripetuto più volte, deve essere “dal basso verso l’alto”.
(Davide Tondani)